giovedì 23 febbraio 2006

LAUREATI E LAVORO

UNA RICERCA DI “ALMALAUREA” CI FA SAPERE CHE SEMPRE MENO LAUREATI TROVANO UN LAVORO SICURO. RIDARE UNA PROSPETTIVA CERTA AI GIOVANI DEVE ESSERE L’IMPEGNO DEL NUOVO GOVERNO

Il fallimento della laurea diventa sempre più evidente e ce lo attesta “Almalaurea”, il Consorzio fra università che ha svolto un’indagine per verificare quanti giovani in possesso di questo diploma abbiano trovato lavoro ed a quali condizioni.


Ha intervistato al riguardo un numero impressionante di ragazzi, fra il settembre e il novembre dello scorso anno, oltre 75mila provenienti da 36 università italiane ed il risultato è stato a dir poco sconcertante: larga parte di loro è ancora in cerca di un impiego qualsiasi e i più fortunati si barcamenano nelle varie forme del lavoro atipico. Il 7% è stato addirittura costretto ad accettare un impiego senza contratto, vale e dire in nero.

Particolarmente difficile, poi, la situazione di chi ha conseguito una “laurea breve”, oltre diecimila ragazzi e ragazze uscite dai corsi introdotti dalla riforma universitaria. Il 54% di loro ha deciso di continuare a studiare, completando anche il secondo livello, avendo constatato la pressoché totale impossibilità di inserirsi in maniera adeguata nel mondo del lavoro, ma anche a ciclo di studi ultimato le difficoltà da superare per approdare ad un porto sicuro non sono poche.
Ma vediamo le cifre.

Fra i laureati di primo livello (laurea breve), appena il 33,3% ha dichiarato di avere ottenuto un vero e proprio lavoro a tempo determinato. Il 60% quasi è invece suddiviso fra formazione lavoro-apprendisti (4,9%), contratti a tempo determinato (20,6%), rapporti di collaborazione (22,1%), altri contratti atipici (2,4) e senza contratto (9,2%). A questi si aggiungono poi un 7% che ha dichiarato di svolgere un’attività autonoma ed uno 0,3% che non ha fornito alcuna risposta e probabilmente rientra anch’esso nel comparto precari.

Va appena un po’ meglio fra i laureati pre-riforma, il 39,2% dei quali risultava regolarmente contrattualizzato nel 2004 ad un anno dal conseguimento del titolo di studio (era il 38,3% nel 1999).
Fra questi, i lavoratori atipici costituivano però il 48,5% del totale (nel 1999 erano il 40,8%), mentre i senza contratto sono saliti al 7,1% dal 5,2% di cinque anni prima. In forte calo, di contro, i giovani inseriti con contratti di formazione-lavoro che erano nel 1999 il 14,8% e nel 2004 sono scesi al 4,8%.

Come si vede, dunque, la situazione è andata peggiorando nel corso degli anni, e la stessa cosa vale per i laureati del vecchio ordinamento, il 56,8% dei quali riusciva ad impiegarsi entro il primo anno dalla laurea nel 1999, percentuale che si è ridotta gradualmente, soprattutto negli anni 2002 (54,9%), 2003 (54,2%) e 2004 (53,7%). Ed anche in questo caso si tratta sovente di impieghi instabili e poco sicuri.

Quanto al genere, la stabilità è una caratteristica che coinvolge più gli uomini (il 57%) che le donne: solo il 40 delle laureate ha infatti un contratto a tempo indeterminato o svolge un lavoro autonomo.

Tra quelli che trovano più facilmente un impiego sono sempre i laureati in ingegneria, mentre mostrano crescenti problemi i laureati del gruppo chimico-farmaceutico. Parziali miglioramenti invece per i laureati dell'area dell'insegnamento, psicologica, letteraria e linguistica.

Resta però, per tutti, il forte neo delle basse retribuzioni. Anche se cresciute leggermente negli ultimi anni, la loro media continua ad essere particolarmente bassa: oggi un laureato guadagna appena 997 euro al mese.

E poi c’è chi si domanda perché i nostri giovani continuino a vivere in famiglia, non decidendosi a metterne su una propria!

A giusta ragione, quindi, nel programma dell’Unione la questione della lotta al lavoro precario, per ridare una prospettiva in specie alle nuove leve del lavoro, è posta come tema centrale all’attenzione del governo che verrà.

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