martedì 6 novembre 2007

OCCUPAZIONE: IN UMBRIA SOLO IL 4,4% DEI NEOASSUNTI HA UNA LAUREA

OCCUPAZIONE: IN UMBRIA SOLO IL 4,4% DEI NEOASSUNTI HA UNA LAUREA, MENO DELLA META’ RISPETTO ALLA MEDIA NAZIONALE. DISPERDIAMO UN PATRIMONIO CHE PUO’ ESSERE QUANTO MAI UTILE PER LO SVILUPPO

Tempi brutti per i giovani laureati umbri: per loro trovare un’occupazione diventa sempre più difficile e particolarmente sconfortanti al riguardo paiono i dati contenuti nel Rapporto Excelsior relativi all’anno in corso. Infatti, stando alle previsioni comunicate direttamente dalle imprese, sul totale complessivo di nuovi assunti previsto per il 2007, pari a 11.650 unità circa (di cui 9.030 nella provincia di Perugia e 2.640 in quella di Terni), i laureati saranno appena il 4,4% mediamente (Perugia 4,4%, Terni 4,5%.).

Con queste percentuali, che corrispondono alla metà del dato nazionale (9%), le province umbre si collocano nella parte bassissima della classifica nazionale, piazzandosi rispettivamente all’ottantesimo (Terni) e all’ottantaduesimo (Perugia) posto su un totale di 103. Assai meglio va per i diplomati che rappresenteranno in Umbria il 31,6% dei nuovi assunti, con ciò confermando una preferenza delle nostre imprese che contraddice una tendenza diversa che si va delineando a livello nazionale dove la presenza dei laureati, in specie nelle industrie, appare in aumento, anche se ancora non sufficiente. Infatti, fra il 2000 e il 2006 nelle aziende industriali italiane con almeno 50 addetti, l’incidenza del personale laureato è passata dal 6,9% al 9,5%.

Un processo che ha segnato evidenti passi in avanti nei distretti industriali più avanzati, con la provincia di Milano che può contare sul 20,5% di assunzioni fra i laureati nel corso del 2007, seguita da Roma (16,6%), Parma (16,5%) e Torino (14,9%).

La posizione delle province umbre deve quindi profondamente preoccuparci, visto che, ormai, anche numerose province del meridione, ovvero dell’area geografica del Paese che solitamente denuncia le maggiori difficoltà, sono in grado di assicurare un impiego maggiore, e non di poco, ai loro giovani laureati. E’ questo, per esempio, il caso di Pescara (10,9%), Catania (8,7%), Palermo (8,5%), Napoli (8%), Catanzaro (7,1%, Matera (7%), Reggio Calabria (6,3%), Brindisi (6,2%), Foggia (6%), tanto per citarne alcune. Indice, questo, di attività imprenditoriali troppo poco propense da noi all’innovazione, ovvero all’impiego di tecnologie altamente specializzate che richiedono, di conseguenza, il ricorso a personale appositamente preparato.

Ciò vuol dire che l’Umbria perde per strada gran parte dei giovani che escono dalle Università, disperdendo così un capitale umano preziosissimo, la cui preparazione ci è costata tantissimo, con il rischio ulteriore che ciò possa scoraggiare l’impegno allo studio, facendoci retrocedere ancora rispetto al 25,2% di laureati sulla popolazione in età 25-64 anni registrati nei Paesi Ocse, media alla quale possiamo contrapporre il nostro misero 11,4% a livello nazionale.

Ed è qui che torna in ballo anche l’efficienza del nostro sistema di istruzione, visto che, sempre l’Ocse ci dice che il 60% dei giovani italiani che si iscrivono ad un qualsiasi corso universitario non lo porta a termine. Una palla al piede assai difficile da trascinare, pesante almeno il doppio rispetto alla media segnata dai paesi maggiormente industrializzati.

Eppure ci sentiamo di dire che le imprese umbre non rinunciano affatto a rivolgersi ai giovani laureati per soddisfare le loro esigenze, solo che sono fortemente restie ad assumerli in qualità di dipendenti, preferendo relegarli nel vasto esercito dei lavoratori precari (con retribuzioni altrettanto precarie) che, secondo le ultime stime comunicate dal ministro Damiano, avrebbe ormai tagliato il traguardo dei 3,5 milioni di unità. Una cifra ancora maggiore (3,7 milioni) e stata invece fornita ieri dalla Caritas, ma si tratta a nostro parere di calcoli sottostimati poiché non tengono conto del fatto che molti giovani laureati sono andati in questi anni ad ingrossare forzatamente la folta schiera delle partite Iva, che li equipara ai liberi professionisti od ai lavoratori autonomi in genere, pur operando costantemente all’interno di un’unica azienda, utilizzando solo gli strumenti di lavoro che gli imprenditori mettono a loro disposizione. Un deplorevole fenomeno di sfruttamento, questo, ben presente anche in Umbria.

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