giovedì 31 maggio 2007

SULLA TRAGEDIA DI MARSCIANO UN’ORGIA DI INOPPORTUNE DICHIARAZIONI CHE HANNO ISTIGATO ALL’ODIO NEI CONFRONTI DEGLI “STRANIERI”

Passata l’orgia delle dichiarazioni allarmistiche, condite da un profondo pregiudizio verso gli stranieri, che sono state rilasciate a raffica da certi politici nostrani alla ricerca di un facile consenso fondato sulla paura e sullo smarrimento che avevano comprensibilmente attanagliato tanti cittadini, sulla tragedia di Marsciano si sta facendo strada una verità assai diversa da quella che era stata immaginata.

Restando ovviamente in attesa degli esiti del processo che si deve ancora celebrare, in ossequio al principio della presunzione di innocenza nei confronti di chi di tale delitto è stato imputato, ci pare tuttavia incontrovertibile che questo tristissimo episodio nulla ha a che vedere con una presunta mancata sicurezza del nostro territorio, né, tanto meno, con una presenza anomala di immigrati e di “diversi”, a Marsciano ed in Umbria, che metterebbe a rischio la nostra incolumità.

Invitiamo quindi a recitare un pronto mea culpa quanti hanno cinicamente soffiato sul fuoco dell’odio razziale, fino ad esasperare alcuni giovinastri particolarmente esagitati che si erano perfino impegnati ad organizzare “squadracce” per punire i ladri stranieri che si insinuano subdolamente nelle nostre case. Gli stessi, probabilmente, che raccoltisi davanti alla stazione dei carabinieri di Marsciano, hanno poi invocato la pena di morte nei confronti, questa volta, del marito, al quale non hanno risparmiato nemmeno l’immancabile epiteto di “bastardo”. Marito indagato, come sta scritto nel comunicato diramato dalla Procura della Repubblica, “per i delitti di omicidio volontario aggravato (futili motivi, crudeltà verso la vittima, rapporto di coniugio) per aver cagionato la morte della moglie Barbara Cicioni, maltrattamenti nei confronti della medesima e dei figli minori, calunnia nei confronti di ignoti, simulazione di reato”.

Ci riferiamo, tanto per essere chiari, al tetragono consigliere regionale di An Andrea Lignani Marchesani che, facendo di ogni erba un “fascio”, ha parlato di “correlazione evidente (sic!) tra crimine e soggetti extra-comunitari o comunque estranei al tessuto regionale e le politiche di presunta inclusione sociale messe in atto dalla Regione riguardo a tossicodipendenze, parametri contributivi e di assegnazione di alloggi fino al recente tentativo, semiabortito, del garante dei detenuti”.

Ne da meno è stato l’eminente vicecapogruppo Udc alla Camera, Maurizio Ronconi, che gli si è messo a ruota parlando di “situazione fuori controllo”, di “presenza anomala di extracomunitari”, di “infiltrazioni malavitose provenienti da altre regioni e probabilmente sottovalutate”, nonché di “troppi clandestini, troppi ricongiungimenti, troppe facilitazioni improprie di ‘accoglienza e solidarietà’”. Per terminare con l’accusa di “troppe assicurazioni da istituzioni incapaci di offrire sicurezza agli umbri”.

Che dire, poi, dell’ineffabile Francesco Miroballo, segretario di una impalpabile Lega Nord umbra, che, arrogandosi il diritto di parlare a nome di tutti noi, ci ha dichiarati “stanchi della criminalità dilagante in Umbria”, per cui “diciamo basta con la politica catto-comunista-criminale dell’accoglienza indiscriminata” e chiediamo di “ripristinare la pena di morte…”?.

Cosa non si fa per guadagnare qualche voto in occasioni delle elezioni amministrative? Si abbandona ogni prudenza, anche se il recentissimo il caso di Erba avrebbe dovuto essere di monito per tutti. Ricordiamo che in quella città lombarda tutti, proprio tutti, stampa compresa, si erano ugualmente scagliati contro l’immigrato di turno (in questo caso il marito), fino a che non è emerso che gli assassini erano invece gli insospettabili, ed italianissimi, vicini di casa.

Ed allora, ecco che si sono moltiplicati gli indici puntati sulla insicurezza delle nostre città; una canea che ha contagiato, purtroppo, anche qualche amministratore di sinistra o di centrosinistra, come il sindaco di Marsciano, Gianfranco Chiacchieroni, che, oltre a dirsi “sgomento e distrutto per un fatto criminoso che ci fa capire come anche l’Umbria oggi sia a rischio”, aggiungeva: “faremo tutto quanto è nelle nostre possibilità per contribuire ad assicurare la sicurezza….”.

Un gioco al quale si è prestato anche il presidente della Provincia, Giulio Cozzari, che ha parlato di “situazione che ha ormai superato ogni limite e qualsiasi livello di guardia” per cui “occorre un potenziamento delle forze addette alla tutela della pubblica sicurezza” ed “è opportuna una riflessione complessiva della istituzioni su questo problema”.

E sullo stesso tono si è messa perfino la Presidente della Regione, Maria Rita Lorenzetti, che, sia pure in forma più sfumata, ribadiva comunque “l’impegno di vigilare per mettere in campo tutte le azioni che consentano all’Umbria di respingere con fermezza ogni forma di violenza e di garantire condizioni di sicurezza ai cittadini”.

Ma anche l’On. Marina Sereni, vicepresidente dell’Ulivo alla Camera dei Deputati, non ha avuto alcun dubbio al riguardo, avendo invocato “interventi efficaci e coordinati di contrasto e prevenzione della criminalità, che possano garantire a tutti i cittadini umbri un più alto livello di sicurezza”, ricevendo l’immediata disponibilità del ministro Amato.

Un mare di retorica per chiedere più poliziotti e carabinieri sulle nostre strade, ed anche -come ci rimproverava il solito On. Ronconi- più vigili urbani: tutti impegnati a garantirci sonni tranquilli.

Ed, invece, il fatto criminoso di Marsciano pare rientrare nella ormai nutrita casistica delle violenze domestiche compiute ai danni delle donne, per scongiurare le quali non basterebbe neppure l’emanazione di un coprifuoco. Basti solo pensare –come ci ha opportunamente ricordato Elisabetta Piccoletti con un suo articolo di “Liberazione”- che tra le cause di morte delle donne comprese in età tra i 16 e i 44 anni, le brutalità commesse tra le mura domestiche sono in testa alle statistiche, prima degli incidenti stradali e del cancro. E che complessivamente, nell’Unione europea a 15, prima cioè dell’allargamento a 25, ogni anno quasi 600 donne (vale a dire poco meno di 2 al giorno) hanno perso la vita a seguito di atti di brutalità sessista in famiglia. Per non parlare, poi, degli stupri, considerato che appena il 3,5% di questi delitti avviene per mano estranea e tutto il resto si consuma dentro la famiglia. Non in quella di fatto, alla quale si vuol continuare a negare ogni diritto, ma quella solennemente santificata dal matrimonio, in difesa delle quale il Vaticano ha recentemente chiamato in piazza alcune centinaia di migliaia di persone.

Per ultima, l’immancabile e scontata polemica, che da tempo immemorabile ci perseguita, sull’Umbria che “non è più l’isola felice di un tempo”. Un’affermazione che suona come implicita accusa alle forze politiche che da sempre governano la nostra regione che avrebbero avallato questa tesi poco felice; frase che anche in questa circostanza è stata ripresa da molti organi di stampa e che ritroviamo nelle dichiarazioni rilasciate dal consigliere Lignani Marchesani, dal presidente Cozzari e perfino in quelle dell’Arcivescovo, mons. Giuseppe Chiaretti.

Per favore, qualcuno ci dica una buona volta, quale politico umbro, ed in quale circostanza, ha usato questa poco opportuna espressione, così da avere un colpevole certo! Altrimenti non ci rimane che pensare ad una leggenda metropolitana, o meglio ancora, ad una invenzione giornalistica che ha evidentemente incontrato una buona dose di fortuna.

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