giovedì 31 maggio 2007

SECONDO UNIONCAMERE-PROMETEIA, L’UMBRIA, CON UNA PREVISIONE DI CRESCITA DEL 2,3% DEL PIL PER IL 2007, E’ CON LA LOMBARDIA LA LOCOMOTIVA CHE TRAINA LA RIPRESA ITALIANA. IL NEO DELL’EXPORT CI IMPEDISCE DI FARE DI PIU’. INSUFFICIENTI GLI INVESTIMENTO NELLA RICERCA PER LA SCARSA PARTECIPAZIONE DELLE IMPRESE

Se le previsioni di Unioncamere e Prometeia riguardo agli scenari di sviluppo delle economie locali per il 2007 sono esatte, allora vuol dire che l’Umbria non solo è riuscita ad agganciare il treno della ripresa, ma si è addirittura messa al comando, recitando, assieme alla potente Lombardia, il ruolo di locomotiva trainante.

Altro commento non possiamo fare di fronte ad una previsione di incremento del pil che assegna alla nostra regione un +2,3%, al pari, appunto, della Lombardia, ben oltre al +2% previsto a livello nazionale.

Un exploit sorprendente che ci colloca decisamente al di sopra di regioni storicamente forti sul piano economico come il Piemonte (+1,8%) e l’intero Nord-Est (+2% mediamente). Ma non solo, perché l’Umbria guida la graduatoria delle regioni centrali, ovvero dell’area geografica che coglie nel suo complesso il risultato più brillante in assoluto (+2.2% mediamente), con il Lazio al +2,2%, la Toscana e le Marche entrambe al +2,1%, e l’Abruzzo al +1,6%.

Questa ricerca non ci dice quale sia il contributo che i diversi settori dell’economia regionale (industria, agricoltura, costruzioni e servizi) apporteranno alla crescita del pil regionale, ma una cosa è certa: in Umbria sono state create le condizioni idonee per concorrere con successo allo sviluppo del Paese e di questo non possiamo non dichiararci soddisfatti, considerato per di più che ci sono ampi margini per fare ancora meglio.

Prendiamo, infatti, in considerazione la previsioni per le esportazioni di beni verso l’estero, secondo le quali l’export umbro dovrebbe crescere del 3,2%. Un dato positivo, certo, ma inferiore al +3,9% della media nazionale ed in questo caso siamo distanti anche dalla media del Centro che con il suo +4% si conferma come area più dinamica del Paese, con il Lazio (+5,1%) e la Toscana (+5%) che ci stanno ben davanti.

Decisamente buone, invece, le previsioni riguardo all’incremento di spesa per i consumi delle famiglie (+1,9% rispetto al +1,7% nazionale) ed ancora meglio per le previsioni relative agli investimenti fissi lordi che per noi segnano un +4,3% (l’incremento maggiore del Centro), inferiore solo al +6,8% della Liguria, al +6,6% della Campania, al +6,1% della Val d’Aosta ed alla pari con la Basilicata e la Calabria.

Tornando al neo delle esportazioni, è evidente che vendite umbre sui mercati esteri, pure in incremento, scontano dei ritardi dovuti con tutta probabilità al ridotto contenuto tecnologico della nostre produzioni. Ciò è imputabile principalmente ad uno scarso impegno, in specie delle industrie umbre, nel settore della ricerca e dello sviluppo delle nuove tecnologie ed una conferma di ciò ci viene dell’Istat che ha calcolato, per il 2004, un investimento nazionale complessivo al riguardo di appena l’1,1% del Pil, per lo 0.6% di provenienza pubblica e per lo 0,5% di provenienza privata.

Ebbene, in Umbria si è investito ancora meno nella ricerca, precisamente lo 0,8% del Pil regionale e. confermandosi allo 0,6% l’impegno pubblico, ciò vuol dire che i privati umbri vi hanno concorso per appena lo 0,2%.

Per quanto riguarda le somme investite, i dati che si riferiscono invece al 2003 ci dicono che complessivamente erano stati spesi in quell’anno per la ricerca fatta in Umbria 156.694.000 euro, dei quali 13.938.000 erano stati messi dalle pubbliche amministrazioni, 106.483.000 dall’Università (come di vede la parte assolutamente preponderante) e 517.000 da istituzioni private no profit. Le imprese avevano perciò messo insieme solo 35.756.000 euro.

Le stesse proporzioni, più o meno, le osserviamo riguardo al numero degli addetti alla ricerca in Umbria, perché, aspetto che non va sottovalutato, anche gli investimenti in questo fondamentale settore si traducono in posti di lavoro: ebbene, in questo caso sui 2.366 occupati totali, 144 erano a carico delle amministrazioni pubbliche, 1.591 dell’Università, 10 della istituzioni private no profit e 621 delle imprese.

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