OCCUPAZIONE FEMMINILE: DETASSARE IL LAVORO DELLE DONNE
OCCUPAZIONE FEMMINILE: DETASSARE IL LAVORO DELLE DONNE PER REALIZZARE LOBIETTIVO DI LISBONA?
In Italia il tasso di occupazione femminile è del 46,3%, fra i più bassi in Europa, mentre lAgenda di Lisbona vuole che si raggiunga almeno il 60% entro il 2010. Abbiamo, quindi, meno di quattro anni per centrare questo lobiettivo ed ancora non si hanno le idee chiare sul che fare al riguardo.
Sono state ipotizzate le soluzioni più svariate, perfino quella dellintroduzione di quote rosa anche nel mercato del lavoro, ma si tratterebbe di una misura nel merito della quale sono state sollevate non poche perplessità rivestendo un carattere coercitivo da taluni giudicato incompatibile con la libertà di fare impresa.
Su una cosa sono comunque tutti daccordo: si tratta di far si che le aziende vengano incentivate e non costrette ad assumere un numero maggiore di donne, rendendo possibile per questa strada il superamento del gap biologico e culturale che frena loccupazione femminile e che si basa essenzialmente sul fatto che sono le donne a mettere al mondo i figli e che, nonostante i progressi che si sono fatti negli ultimi decenni in tema di parità, resta tuttora il fatto che permane allinterno della famiglia e della società una divisione di ruoli che assegna ancora alle donne il compito di occuparsi in via prevalente della loro educazione.
A ciò si aggiungano le discriminazioni che ancora permangono nel mercato del lavoro, considerato che, a parità di competenze, i loro salari sono spesso minori ed altrettanto dicasi per la possibilità di fare carriera che risente pesantemente delle interruzioni conseguenti alle gravidanze.
Che questi ostacoli che incidono pesantemente sul diritto al lavoro delle donne siano innegabili e non facili da superare è dimostrato dal fatto che in tutti i paesi dEuropa il tasso di occupazione femminile è costantemente inferiore a quello maschile, sia pure non nella dimensione che si manifesta in Italia.
Che fare, allora, per superare questo handicap che, evidentemente, spaventa gran parte degli imprenditori, tanto da spingerli a praticare marchingegni anche odiosi pur di non assumere donne ed ancor più per sbarazzarsene quando diventano madri?
Di recente è stata avanzata da alcuni studiosi una proposta che crediamo meriti un serio approfondimento: quella di agevolare in termini fiscali la crescita del lavoro femminile, ovvero di prevedere forme di tassazione differenziata dei redditi da lavoro prodotti dalle lavoratrici e dai lavoratori, tali da incentivare gli imprenditori, che ne ricaverebbero evidenti vantaggi, ad abbandonare questa discriminazione.
Lobiezione principale che ci si può muovere al riguardo è che, così facendo, si determinerebbe una sorta di discriminazione di genere, cosa che è severamente vietata dalla legislazione vigente a partire dalla Costituzione, ma a ben pensarci la discriminazione vera è quella che esiste già oggi, per i fatti che abbiamo prima richiamati e che agisce a tutto sfavore delle lavoratrici, mentre proprio introducendo il metodo della tassazione differenziata dal lavoro si determinerebbe il restringimento di quel divario fra i sessi che è da tutti auspicato.
Del resto un qualche cosa del genere labbiamo già sperimentata, proprio di recente, senza che siano state sollevate obiezioni di sorta, allorché, con la riduzione del nucleo fiscale in favore delle aziende sono state previste anche misure di particolare favore per le imprese che, in specie nel Mezzogiorno, decidano di assumere donne e giovani.
Si tratterebbe ora di passare da un intervento parziale e ridotto in uno specifico ambito territoriale, ad un provvedimento di carattere più complesso e generale.
Ragioniamone, dunque.
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