venerdì 23 marzo 2007


DONNE: QUANDO LA MATERNITA’ FA PERDERE IL LAVORO. UNA SU TRE VIENE LICENZIATA SE DIVENTA MADRE

Una delle risposte che si possono dare al perché il tasso di natalità in Italia sia particolarmente basso sta nel fatto che per le nostre lavoratrici diventare madri è una colpa, una pecca tanto grave da mettere in serio rischio la loro occupazione. Secondo le statistiche, infatti, quasi una su tre viene più o meno brutalmente messa da parte e le stesse statistiche ci dicono purtroppo che il 30% delle donne che hanno avuto un figlio dopo un anno e mezzo dalla nascita del bambino non ha più un lavoro e per la gran parte di loro questa possibilità non si presenterà più.

Le leggi italiane consentono ai datori di lavoro di usufruire di abbondanti strumenti per farla franca, uno dei quali la firma fatta apporre alla dipendente, in via precauzionale, al momento dell’assunzione, sotto una lettera di dimissioni da tirare fuori dal cassetto al momento più opportuno. Così facendo alla donne lavoratrice viene negato persino il diritto a percepire l’assegno di disoccupazione.

Se poi questo strumento non è disponibile, la scappatoia più comune è quella del ricorso al mobbing, praticato nelle sue forme più ossessive per piegare la resistenza delle dipendente riottosa e convincerla ad andarsene “spontaneamente”: il primo passo è quello di fare terra bruciata attorno a lei, togliendole le competenze sino ad allora egregiamente esercitate e mortificandone la professionalità.

Se tutto ciò non bastasse, si passa allora alle minacce più dirette, formulate sempre, naturalmente, in assenza di scomodi testimoni, ed all’assegnazione di mansioni inferiori, con conseguente riduzione dello stipendio. Infine, ultima fase, quella del licenziamento, il più delle volte giustificato con l’esigenza di ridurre il personale, pratica particolarmente facile da eseguire in specie nelle piccole aziende dove le tutele sindacali e di legge sono minori.

Questo se ci si vuole sbarazzare di una dipendente-madre a tempo indeterminato, perché per una lavoratrice precaria l’iter è ancora più facile: basterà non rinnovargli il contratto alla scadenza.

E così, in un paese con uno dei più bassi tassi di natalità d’Europa (appena 1,9 figli a famiglia) abbiamo che da un lato la donna è incitata a procreare ed allo stesso tempo è discriminata sul lavoro se lo fa. Si può dunque ben capire se, messe di fronte all’alternativa o diritto al lavoro o diritto alla maternità, molte scelgano il primo.

Come si può risolvere questo problema?

L’unica via percorribile è quella della modifica radicale della legislazione vigente in materia, così da introdurre tutele maggiori per le lavoratrici, tali da dare uno stop gli abusi che vengono perpetrati nei loro confronti.

E su questa linea si pone certamente il disegno di legge che è stato firmato congiuntamente da 45 senatori e senatrici dell’Unione; un provvedimento che, sulla base di due semplici articoli ci sbarazzerà, una volta approvato, della pratica ignobile e ricattatoria delle “dimissioni in bianco”: niente più fogli qualsiasi che non avranno più alcun valore, ma dimissioni scritte su un apposito modulo da ritirare presso l’Ufficio del lavoro, la cui validità non sarà eterna, perché scadrà passati 15 giorni dalla data del suo rilascio che risulterà da un apposito codice alfanumerico.

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