venerdì 9 marzo 2007

GLI ALTI TASSI DI INTERESSE PRATICATI DALLE BANCHE FRENANO LA CRESCITA DELL’UMBRIA. AL TAVOLO PER LO SVILUPPO LA REGIONE INDICHI CON CHIAREZZA E DETERMINAZIONE LA NECESSITA’ DI UN CAMBIO DI INDIRIZZO

Saluteremo con soddisfazione la maggiore partecipazione delle banche umbre al Patto per lo Sviluppo se ciò comporterà una reale loro compartecipazione al processo di crescita della nostra regione. Attualmente così non è ed anche se è esagerato affermare che il loro comportamento “strangola” il tentativo dell’Umbria di porsi al traino delle regioni più dinamiche del Paese, possiamo tranquillamente affermare che rappresenta comunque un ostacolo di non poco conto in questo senso.

Diciamo ciò non per personale convincimento, ma perché siamo confortati dai numeri, i più recenti dei quali ci sono stati forniti dalla ricerca, presentata ieri dal Dipartimento di discipline giuridiche e aziendali dell’Università di Perugia, sul sistema bancario regionale, i cui dati essenziali possono essere così riassunti: da un lato i tassi di interesse a breve-medio termine praticati nella nostra regione sono superiori alla media del centro Italia dello 0,86%, handicap che sale all’1% se il raffronto viene fatto sulla media nazionale; dall’altro la redditività delle nostre banche si è accresciuta ed in modo particolare quella degli istituti locali che in questi anni sono entrati nell’orbita dei grandi gruppi nazionali.

In sostanza, ciò vuol dire che il grande processo di razionalizzazione che ci ha interessato attraverso una serie considerevole di acquisizioni che hanno determinato un livello di concentrazione quasi doppio rispetto al resto del paese, ha prodotto benefici a senso unico, e non certo in quello più favorevole alle imprese ed alle famiglie umbre.

Si tratta di dati sconcertanti che ci erano stati comunque anticipati verso la metà dello scorso gennaio all’Istituto Tagliacarte che, con una sua indagine sui tassi medi per i prestiti a medio termine praticati dalle banche operanti nelle province del Centro Nord nel corso del 2006, ci avvertiva del fatto che la nostra regione, in virtù dei tassi da “strozzini” che vi erano stati praticati, aveva pagato un forte pegno al riguardo.

Non a caso a Terni veniva assegnata la “maglia nera” in una classifica formata da 67 capoluoghi di provincia e Perugia se la cavava appena meglio, risultando al 61° posto.

Se andiamo a scavare più a fondo fra questi dati, ci accorgiamo allora che il raffronto fra Perugia (6,64%) ed i capoluoghi delle regioni a noi confinanti si fa impietoso particolarmente con Firenze (4,63%), con un differenziale a nostro sfavore di oltre due punti. Detto in altri termini i perugini avevano pagato nel 2006 alle loro banche quote di interessi superiori del 50% rispetto a quelle poste a carico dei fiorentini.
Netto, anche il divario con Ancona, il cui tasso medio era del 5,20%.

Altro grave neo era rappresentato dal fatto che le cose per Perugia erano andate peggio anche rispetto al rilevamento precedente del 2004, quando il tasso medio praticato nel capoluogo umbro era risultato, sia pure di stretta misura, inferiore: per l’esattezza al 6,59%. Un’inezia, se vogliamo, ma sufficiente per farci retrocedere di 19 posizioni nella classifica di cui sopra: un exploit all’incontrario che oltre a noi era riuscito soltanto a Siena e a Parma.

Queste considerazioni, per meglio comprendere come ogni giorno, accingendosi a scalare la montagna di difficoltà che li attende, è come se i nostri imprenditori si caricassero sulle spalle una zavorra considerevolmente più pesante di quella che grava su quelle dei loro concorrenti; un peso che a lungo andare diventa insopportabile da portare. Ed altrettanto vale per le famiglie umbre alle quali le banche sottraggono, con la concessione di piccoli prestiti, risorse che potrebbero e vorrebbero spendere assai più proficuamente per incrementare i loro consumi.

Così stando le cose non è esagerato comparare il comportamento delle grandi banche nazionali che sono calate in Umbria a quello di alcune delle multinazionali che sono venute ugualmente a “fare spesa” nella nostra regione, dove hanno acquisito aziende sane al solo scopo di depredarne i brevetti e poi chiuderle. Il fine è lo stesso: ricavare il massimo dell’utile e che gli altri si arrangino.
Ecco, perché, è auspicabile un ripensamento riguardo al significato della loro presenza in Umbria, una necessità non più rinviabile che la Regione ha il dovere di rappresentare con chiarezza e determinazione al Tavolo per lo Sviluppo.

Seja o primeiro a comentar

Posta un commento

Lettori fissi

Stefano Vinti © 2008. Template by Dicas Blogger.

TOP