mercoledì 7 marzo 2007

UNA PROPOSTA DI LEGGE CONTRO LE FINTE “DIMISSIONI VOLONTARIE” PER ACCRESCERE IL POTERE DI CONTRATTAZIONE DEI LAVORATORI E PRIVARE LE IMPRESE DI UNA VERGOGNOSA ARMA DI RICATTO

Verrà presto spuntata una delle principali armi di ricatto della quale gli imprenditori di pochi scrupoli si sono sin qui avvalsi per liberarsi dal peso di dipendenti ritenuti scomodi: ci riferiamo alla prassi poco commendevole di far firmare ai nuovi assunti, congiuntamente al contratto di lavoro, anche una bella lettera di dimissioni “volontarie” dall’impiego, una maniera poco elegante per dirgli “io il lavoro te lo dò se tu ti licenzi subito e senza data, così che sia possibile verificare come ti comporti”.

Una carta quanto mai utile da giocare nel caso che qualche “scocciatore” desse segno di non volersi più prestare al gioco di uno sfruttamento spinto fatto da tante ore lavorative e da scarsi guadagni. Ancor più se magari quello stesso “scocciatore” si mettesse in testa di indossare i panni del sindacalista per chiamare alla lotta anche i suoi i colleghi. Ecco allora che, facendo leva sulla lettera di dimissioni che in via cautelativa gli era stata fatta firmare preventivamente, le cose vengono rimesse rapidamente a posto così che gli affari possano riprendere a marciare come e meglio di prima.

Una minaccia grave al diritto riconosciuto ad ogni lavoratore di contrattare alla pari le condizioni per il suo impiego, venendo posto nei fatti in una situazione di estrema debolezza e subordinazione dal ricatto di ritrovarsi d’un tratto senza occupazione e privato, trattandosi di dimissioni “volontarie”, anche del diritto a percepire l’assegno di disoccupazione.

I datori di lavoro dovranno fare a meno di questo giochino se andrà in porto un disegno di legge al riguardo che è stato presentato proprio ieri, al Senato, da numerosi appartenenti ai gruppi di Rifondazione Comunista, Ulivo, Pdci e Verdi che si compone di due semplicissimi articoli, il primo dei quali, fondamentale, stabilisce che le dimissioni volontarie dovranno essere presentate in futuro esclusivamente su un apposito modulo che andrà richiesto nelle sedi degli uffici provinciali del lavoro. Le dichiarazioni sottoscritte in bianco non avranno quindi più alcuna validità, perché in pratica farà fede la data di richiesta del modulo in questione che, è ovvio, non potrà avvenire in coincidenza con quella dell’assunzione. Tanto più che, per essere ancora più certi dell’efficacia di questa misura, i moduli in questione saranno contrassegnati da codici alfanumerici che scadranno al compimento del quindicesimo giorno successivo alla loro emissione.

Come giustamente viene fatto osservare, questo provvedimento, che non certo a caso inizia a prendere forma proprio in vista dell’8 marzo, interesserà particolarmente le donne. E non solo per le questioni prima sollevate, ma anche perché è ai loro danni che maggiormente si fa ricorso a questo espediente che rappresenta un incentivo forte contro la maternità; un fatto paradossale se consideriamo l’indignazione ipocrita che da certi pulpiti viene scagliata nei loro confronti, quali principali responsabili della scarsa natalità che caratterizza il nostro paese.

Si deve anche a ciò se l’occupazione femminile in Italia è ben distante dalla media europea, ma non va neppure sottaciuto il fatto che le “dimissioni volontarie” costituiscono una delle tante trovate figlie indirette della flessibilità: assai spesso sono infatti usate per interrompere a piacimento salari e contributi e soprattutto le piccole e piccolissime imprese vi ricorrono durante i periodi di malattia ed in caso di infortunio.

La riprova di ciò sta nel fatto che ogni anno migliaia di lavoratori si rivolgono agli uffici vertenze dei vari sindacati per essere assistiti legalmente da tentativi di estorsione fondati proprio su quel pezzo di carta. Un’impresa il più delle volte disperata, perché è a questi lavoratori che viene chiesto di fornire una prova, scritta o testimoniale, capace di far annullare la cessazione del rapporto di lavoro.

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