giovedì 25 gennaio 2007

COMINCIA A DARE I SUOI FRUTTI L’IMPEGNO DEL GOVERNO DELL’UNIONE NELLA LOTTA AL PRECARIATO

La crescita di lavoro stabile e regolare che si sta registrando nel nostro paese da qualche mese non è frutto solo del miglioramento congiunturale in atto, ma anche di un mix di nuove e più efficaci norme a tutela del lavoro varate dal governo dell’Unione che si sono sposate con un rinnovato impegno per una più corretta applicazione di quelle preesistenti e con il varo di incentivi fiscali e contributivi che sono stati accompagnati da una intensificazione dei controlli, anche per assicurare una maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro (significativa al riguardo l’introduzione del tesserino di riconoscimento nei cantieri).

Tutto ciò ha concorso anche a far emergere quote significative di lavoro nero ed il saldo occupazionale positivo per 36.000 unità registrato dall’Inail solo nel trimestre settembre-novembre 2006 si spiega anche con questo.

Siamo, dunque, alla traduzione in pratica del principio teorico contenuto nel programma dell’Unione, e asserito nel corso dell’intera campagna elettorale, secondo il quale la strategia migliore per abbattere la precarietà è quella di rendere altamente sconveniente per gli imprenditori farvi ricorso, o, se vogliamo vedere la questione dall’altra parte, rendere può proficuo per loro il ricorso al lavoro stabile e regolare.

In piena coerenza con questa linea si è dunque posta una serie di misure, la principale delle quali è rappresentata dalla riduzione delle tasse che gravano sul lavoro, a partire dalla revisione verso il basso del nucleo fiscale che va a beneficio delle imprese che hanno alle loro dipendenze lavoratori stabili o che si impegnano per stabilizzarli.

Ma significative al riguardo sono anche altre scelte quali, ad esempio, la riduzione di 5mila euro per ogni dipendente a valere sull’Irap, che raddoppia addirittura per le imprese che operano al Sud ed aumenta considerevolmente se si è in presenza di lavoratrici assunte nel Mezzogiorno.

Di questo pacchetto fanno parte anche il Fondo per la stabilizzazione del lavoro dei parasubordinati, l’incremento delle aliquote contributive che le aziende dovranno versare in loro favore e le maggiori tutele che sono state loro riconosciute in caso di malattia o maternità.

Al contrario, negli anni di governo delle destre la precarietà è stata continuamente incoraggiata, fino alla creazione di un vero e proprio esercito di lavoratori parasubordinati all’interno del quale possiamo contare le più diverse fattispecie: collaboratori veri e propri (per la maggior parte figure di elevata professionalità), ma anche tanti dipendenti di fatto mascherati da subordinati.

Tanto per dare una dimensione del fenomeno, secondo i dati dell’Inps nel corso del 2005 i collaboratori senza altra occupazione erano circa un milione e 100mila, una quantità intollerabile dovuta al fatto che il ricorso facile al contratto di collaborazione da parte dei datori di lavoro veniva colpevolmente tollerato, nonostante che la tanto discussa legge 30 caldeggiasse la trasformazione dei co.co.co. in co.co.pro.

Di fatto la circolare attuativa di questo provvedimento era rimasta nei cassetti del precedente Ministro del lavoro e si deve al nuovo il merito di averla ripresa e di averla finalmente emanata, nel giugno scorso, dopo averla confrontata con le parti sociali.

E’ solo da quel momento, dunque, che si è finalmente avviata una decisa azione per convertire in lavoro subordinato quello che si era voluto spacciare per lavoro parasubordinato, depurandolo dalle false collaborazioni che in questi anni hanno inquinato il mercato del lavoro ed ingenerato una grande insicurezza, soprattutto fra i giovani. E sin da subito il frutto positivo di questo lavoro è apparso evidente.

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