venerdì 1 dicembre 2006

IL CENSIS PROMUOVE LA FINANZIARIA

IL CENSIS PROMUOVE LA FINANZIARIA ED ANNUNCIA: “LA RIPRESA C’E” E POTREBBE ADDIRITTURA CONFIGURARSI UN “PICCOLO SILENZIOSO BOOM”

Un soffio di ottimismo spira dal 40° rapporto annuale del Censis che come di consueto ha fotografato la situazione italiana a distanza di 12 mesi dal precedente: la sostanza del ragionamento, che si sviluppa per tutto il voluminoso documento, è espressa già nelle prime righe, laddove si sostiene che l’agognata ripresa è ormai arrivata e potrebbe addirittura configurarsi come un “piccolo silenzioso boom”.

Questo sarà possibile se riusciremo tutti insieme ad esprimere un impegno positivo in questi mesi invernali, “superando –sta scritto ancora- non solo il pessimismo generalizzato, ma anche la dose di demotivazione che molti hanno maturato ‘contro’ una manovra economica governativa vissuta vittimisticamente”.

Grazie anche, aggiungiamo noi, alle alte grida di dolore lanciate da Confindustria, e prontamente amplificate dalla grande stampa italiana, ed agli strepiti di quanti, opponendosi ai rigori annunciati di un fisco più repressivo nei confronti degli evasori, si sono posti di fatto a difesa dei disonesti che hanno derubato per anni, e sin qui impunemente, la stragrande maggioranza degli italiani.

Il Censis promuove, dunque, in via generale, la Finanziaria proposta dal centro sinistra, una notizia non certo positiva per Berlusconi e per gli altri campioni della cosiddetta Casa delle Libertà che proprio per domani hanno convocato a Roma i loro seguaci per affossarla e tentare di affossare con essa anche il governo dell’Unione.

Certo, non sono tutte rose e fiori e nel rapporto in questione, accanto ai momenti positivi vengono anche indicati i tanti limiti che frenano uno sviluppo che potrebbe essere anche più impetuoso, ma una cosa è certa, questa Finanziaria non costituisce un handicap per il Paese, anzi.

La stessa cosa non si può certo dire, stando ai dati riportati in questo stesso rapporto, per le scelte di politica economica adottate dal governo precedente. Uno degli aspetti più problematici che sono stati sottolineati riguarda, ad esempio, quelli che i ricercatori del Censis hanno definito ”Gli effetti sottovalutati di una spesa pubblica indomabile”, un capitolo che costituisce, guarda caso, uno dei punti sui quali si è maggiormente appuntata la critica del centro destra che accusa l’attuale governo di non aver fatto abbastanza per ridurla, cosi da liberare più consistenti risorse pubbliche da destinare allo sviluppo.

Ebbene, a leggere ciò che è riuscito a combinare il governo Berlusconi durante il suo quinquennio verrebbe da esclamare “guarda da che pulpito viene la predica!”. Infatti, dal 2000 al 2005 “la spesa pubblica corrente al netto degli interessi è passata da 475 miliardi di euro (pari al 39,9% del pil) a 622 miliardi di euro (43,9% del pil), mentre nello stesso periodo il pil è cresciuto dello 0,6%”. Ciò vuol dire che Tremonti e soci hanno combinato un vero disastro.

A ciò si accompagnano altre magagne, come, sempre per limitarci soltanto ad alcuni esempi, “I tempi lunghi e gli alti costi per la realizzazione delle reti infrastrutturali” (e pensare che proprio per snellire il tutto avevano affidato ad un “tecnico” l’apposito ministero) e “l’involuzione retorica di scuola e università” che confermerebbe per l’Italia “una tensione all’investimento sociale in istruzione assai più debole rispetto agli altri paesi”, per cui la nostra spesa pubblica in istruzione, sia in rapporto al pil (4,9%), sia in rapporto al totale della spesa pubblica (9,9%) è ben inferiore alla media dei paesi Ocse che raggiungono rispettivamente il 5,5% ed il 13,3%.

Certo, anche noi sollecitiamo modifiche a questa Finanziaria, tanto più che questo rinnovato rigore fiscale ha cominciato a dare i suoi frutti, ma le chiediamo per marciare in tutt’altra direzione rispetto a quella caldeggiata dal centro destra: non certo per soddisfare gli appetiti di speculatori ed imprenditori senza scrupolo che reclamano nuove liberalizzazioni, nuove privatizzazioni e nuove riforme penalizzanti per i lavoratori, bensì per accentuare l’ancora troppo modesto processo di ridistribuzione del reddito a vantaggio dei ceti più deboli che è stato appena avviato, ed ancora: per abbattere il precariato, in specie nella pubblica amministrazione; per rinnovare i contratti scaduti ed elevare le pensioni minime; per sostenere, appunto, l’istruzione e la ricerca; per aumentare la sicurezza nei posti di lavoro; per ridurre i tagli alle istituzioni locali.

Per non deludere, in altre parole, le aspettative dei milioni di italiani che ci hanno dato il loro voto.

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