venerdì 3 novembre 2006

LOTTA AL PRECARIATO...LA MANIFESTAZIONE DI ROMA

LA LOTTA AL PRECARIATO ANCHE PER GARANTIRE IL FUTURO DELLE PENSIONI ITALIANE. L’IMPORTANZA DELLA MANIFESTAZIONE DI ROMA

Secondo l’Istat, alla fine del secondo trimestre di quest’anno gli occupati in Italia erano all’incirca 23.187.000, con un incremento di 320.000 unità, + 1,3%, rispetto al trimestre precedente e del 2,4% rispetto ad un anno prima. Un trend di incremento che sarebbe ininterrotto da qualche anno a questa parte.
Sono dati dei quali dobbiamo tenere conto perché non si parla di minore disoccupazione, fenomeno che pure si sarebbe verificato essendo i senza lavoro scesi al 6,5%, -1% in un anno, ma di un numero crescente di persone occupate e che contribuiscono quindi ad alimentare, con i loro contributi, le casse dei nostri istituti previdenziali.
Se così è, allora non hanno giustificazione gli allarmismi ripetutamente lanciati dai molti catastrofisti che ci parlano di bilanci disastrosi dell’Inps e degli altri istituti previdenziali per imporci un’iniqua “controriforma” delle pensioni. Anzi, tanto per fare un esempio, l’Inps gode di buonissima salute potendo scrivere nel suo ultimo bilancio consolidato reso noto, quello del 2004, un attivo di ben 5.264 milioni di euro, una cifra astronomica che poteva essere addirittura più che doppia, solo che anche i fondi pensionistici delle categorie autonome (agricoltori, artigiani e pensionati) avessero dato frutti altrettanto floridi, anziché segnare un passivo di 5.566 milioni di euro complessivamente. Ciò vuol anche dire che di lavoratori dipendenti in attività in Italia ce ne sono in abbondanza per pagare tranquillamente gli assegni di pensione agli ex occupati che si sono conquistati un più che meritato riposo dopo aver sgobbato per anni ed anni. Fra i nuovi lavoratori, fatto non secondario, un numero sempre crescente di immigrati che nel giro di un solo anno sono cresciuti di oltre 162.000 unità.
Se poi così non fosse (ma la nostra è solo una pura ipotesi), allora vorrebbe dire che c’è qualche cosa che non va in questo meccanismo. Ci dovrebbero spiegare come mai i contributi versati dagli oltre 23 milioni di lavoratori occupati certificatici dall’Istat non siano sufficienti alle bisogna e la sola spiegazione logica al riguardo sarebbe una sola: la pessima qualità del lavoro nel nostro Paese. Vorrebbe dire che una parte consistente di quei lavoratori contribuisce al sostentamento delle casse previdenziali in maniera del tutto inadeguata, una colpa non va certo attribuita loro, ma a chi li ha assunti con contratti a tempo indeterminato e conseguentemente li ricompensa con retribuzioni da fame. Parliamo dei tantissimi, ormai, lavoratori precari per i quali vengono versati nelle casse previdenziali contributi vergognosamente bassi e che, se le cose non cambieranno, dopo anni ed anni di incertezze e di stenti, rischiano di uscire definitivamente dal mondo del lavoro senza aver maturato il diritto ad una pensione dignitosa.
Ecco, dunque, che la lotta alla precarietà, della quale la manifestazione romana di domani rappresenta un momento particolarmente significativo, assume un carattere di priorità assoluta anche al fine di assicurare ai nostri istituti previdenziali un futuro florido quanto il presente. Se poi, a tutto ciò aggiungiamo lo sforzo che il governo dell’Unione ha il dovere di compiere riguardo alla lotta all’evasione ed all’elusione contributiva, che è gigantesca in un Paese che vanta uno dei più alti indici mondiali di lavoro nero, ecco che la richiesta di allungare l’età lavorativa in Italia si rivela per quello che in effetti è: un ulteriore forsennato e del tutto ingiustificato attacco ad un sistema sociale che i lavoratori italiani si sono guadagnati con le loro lotte e che una sinistra, tanto più di governo, degna di tale nome ha il dovere di respingere senza alcuna esitazione.

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