sabato 11 novembre 2006

LA PIAGA DEL LAVORO “NERO” IN AGRICOLTURA: PER SANARLA ABOLIZIONE DELL’INTERMEDIAZIONE PRIVATA, INASPRIMENTO DELLE PENE E INTRODUZIONE DEL DURC

Per un immigrato che lavora in nero in agricoltura la giornata di lavoro dura 12 ore ed è pagata 45 euro, 30 dei quali vanno pero al caporale che lo ha ingaggiato ed i rimanenti 15 restano a lui.

Questi dati impressionanti sono stati forniti nel corso di un convegno che si è svolto nei giorni scorsi a Roma, per iniziativa della Flai Cgil, della Fai Cisl e della Uila, le organizzazioni del settore che fanno riferimento alle tre grandi Confederazioni nazionali.

Al riguardo va premesso che non parliamo di un settore trascurabile della nostra economia, concorrendo l’agricoltura al 18% del pil totale della nazione, per un valore annuo di oltre 175 miliardi di euro. Questo per dire quanto grande è la fetta della torta che va agli imprenditori di pochi scrupoli ed ai loro complici, tenuto conto (sono sempre le tre sigle sindacali di cui sopra a dircelo) che ben il 60% delle ore lavorate in agricoltura sono al nero, una percentuale che va ben oltre la metà del totale. Una quantità di lavoro stratosferico per il quale, naturalmente, non un euro arriva nelle casse previdenziali ed assai poco in quelle dell’erario.

Il nero in agricoltura è divenuto ormai una prassi largamente diffusa, potremmo dire quasi la normalità. E non più solo nel meridione d’Italia, visto che un po’ dappertutto nel nostro Paese chi vuol lavorare in questo settore è costretto ad andare in piazza per consegnarsi interamente nelle mani dei caporali, come dimostrano i recenti episodi denunciati dai carabinieri a Brescia, a Taranto e nel foggiano, dove i lavoratori ingaggiati per la raccolta venivano addirittura incatenati, certi che non avrebbero protestato essendo stati fatti entrare nel nostro Paese in maniera clandestina.

Cosa fare per uscire da questa terribile situazione? I sindacati hanno indicato alcune soluzioni che, anche per la loro portata repressiva, potrebbero rivelarsi degli efficaci deterrenti.

La prima di queste è rappresentata dalla richiesta di una profonda destrutturazione dell’art. 30 sul collocamento, per la parte che ha introdotto l’intervento del privato nell’intermediazione di manodopera, alla quale si legano essenzialmente le degenerazioni che si sono verificate. Un processo che va assolutamente ed interamente riportato sotto il controllo pubblico.

Con questo Flai-Cgil, Fai-Cisl e Uila non si mostrano nostalgiche degli uffici di collocamento di vecchia memoria, per i superamento dei quali si sono anzi a suo tempo battute, ma auspicano la costituzione, a livello di ogni provincia, di un organo tripartito al quale partecipino in maniera assolutamente paritetica i sindacati, i datori di lavoro e le amministrazioni locali: il fine è di assicurare un lavoro garantito per tutti, con il pieno rispetto dei contratti in particolare riguardo alle norme della sicurezza ed alla congruità delle retribuzioni.

E per chi sgarra legge assai più severe di quelle attuali, con un minimo di 8 anni di reclusione per chi incorre nel reato di intermediazione di lavoro illegale.

E nel frattempo, prima che queste nuove norme possano essere legiferate ed avere vigore, si rende urgente un provvedimento che conceda ai lavoratori “irregolari, perché clandestini” un permesso temporaneo di soggiorno, anziché intimorirli con la minaccia dell’espulsione.

Per quanto ci riguarda, infine, condividiamo con entusiasmo anche la proposta di introdurre obbligatoriamente il Durc (Documento unico di regolarità contributiva) nel settore agricolo. Si tratta di uno strumento che le organizzazioni sindacali si sono guadagnate e che –lo sappiamo bene in Umbria- ha prodotto effetti assai positivi particolarmente nel settore edile, in mancanza del quale non dovrà essere consentito l’accesso agli aiuti comunitari.

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