mercoledì 6 settembre 2006

RIFORMARE LE PENSIONI? ANCHE PER L’UMBRIA LE PRIORITA’ SONO ALTRE. RISPONDERE A CHI VIVE CON MENO DI 1.000 EURO AL MESE ED UNA NUOVA SCALA MOBILE PER CONSOLIDARE LA RIPRESA

Sull’entità della Finanziaria e sui tempi per riportare il deficit pubblico italiano entro i parametri di Maastricht si è sviluppato un forte dibattito al quale partecipano anche le forze sociali attive nel Paese e i sindacati fra queste. Molti i temi che appassionano, come i nuovi “tagli” ipotizzati per numerosi comparti (sanità, scuola, pubblico impiego, ecc.), ma la questione che più delle altre tiene banco è quella delle pensioni, sulla quale sarebbe quanto mai opportuno muoversi con i piedi di piombo, tanto è delicata riguardando le aspettative e le scelte di vita di milioni di persone.


Tanto più che sono in molti a chiedersi se questa sia veramente una priorità per il nostro Paese, gli stessi che avrebbero infatti preferito che l’attenzione di chi ci governa si fosse rivolta ad altre questioni: alla legge 30 sul mercato del lavoro, ad esempio, che ha esteso fino all’insopportabile la piaga del precariato e per la quale sarebbe opportuno proporre non semplici modifiche, bensì la sua cancellazione integrale.

Tutto passa per lo stato reale dei conti pubblici italiani, perché se veramente siamo al disastro, “peggio ancora del 1992”, come dichiarò a suo tempo il ministro dell’economia, Padoa Schioppa, allora sarebbe bene chiarire questa situazione con un immediato confronto con i sindacati, per concordare con loro i sacrifici da chiedere agli italiani, le modalità e i tempi di attuazione di una manovra che non potrebbe essere del tutto indolore.

Ma se le cose, come sembra, la drammaticità di quel momento appare superata, o quanto meno fortemente ridimensionata perché l’economia italiana va meglio, come ci ha confermato anche ieri l’Ocse, e l’effetto Visco ha riportato molti evasori a rivedere la loro posizione nei confronti del Fisco, tanto da incrementare in misura assai consistente le entrate dello Stato, allora c’è da chiedersi perché non sia possibile ridurre questi sacrifici, diminuendo in maniera consistente l’entità di questa manovra.

Dove sta, dunque, l’urgenza di ritoccare le pensioni? Se così fosse, allora la priorità prima diventerebbe quella del sostegno allo sviluppo che si è avviato, per renderlo ancora più robusto, così da portare l’Italia quanto meno al livello medio della Unione Europea, perché non va sottovalutato il fatto che, seppure in ripresa, l’aumento stimato del nostri Pil, che nel 2006 salirebbe ad un più incoraggiante 1,8% rispetto all’1,4 precedente, resta tuttora distante dalla crescita media di Eurolandia che si prevede al 2,7%.

Ora, tutti gli economisti sono concordi nel ritenere che una delle strade più opportune da seguire al riguardo sia quella dell’incremento dei consumi, allo scopo di ridare slancio al mercato interno aiutando con ciò la produzione di beni e di servizi. E’ questo il senso della politica di sostegno dei ceti più disagiati che dovrà riguardare principalmente il mondo del lavoro e massimamente quella vasta parte di esso che fatica ad arrivare alla fine del mese, come documenta anche l’ultima ricerca Irres-Cgil in materia.

Da essa emerge, infatti, che in Italia il 68,6% degli occupati guadagna meno di 1.300 euro al mese e che ben il 35% non arriva ai 1.000 euro. Si tratta di milioni di uomini, donne, giovani che per sbarcare il lunario debbono arrangiarsi in mille modi, anche facendo ricorso in molti casi alla scappatoia loro offerta dal doppio lavoro, un fenomeno che non va dunque visto come un lusso, od una capriccio, bensì come una necessità. Ciò vuol dire che risolvendo la loro situazione elimineremmo anche una delle ragioni che alimentano l’economia sommersa italiana.

La Cgil denuncia anche che i redditi dei lavoratori italiani sono ormai fra i più bassi d’Europa, tant’è che il 57,7% di essi afferma di riuscire a stento, se non per niente, a garantire condizioni materiali di base per la propria famiglia. Una percentuale che sale al 70% fra i lavoratori “atipici”, per la maggior parte giovani, una categoria in forte espansione in Italia, tanto da rappresentare ormai più di un quarto degli occupati (il 25,1%).

E se consideriamo che, strutturalmente, le retribuzioni umbre si collocano un po’ al di sotto della media nazionale, con una differenza in meno di circa il 10% rispetto a quella segnata nell’area Centro-Nord del Paese, è facile immaginare come nella nostra regione la situazione risulti ancora più pesante essendo ulteriormente aggravata da una incidenza del lavoro precario oltre, in questo caso, alla media nazionale.

Anche e soprattutto per l’Umbria dobbiamo, dunque, rivendicare una profonda modificazione nella impostazione della Finanziaria d’autunno, oltre che la cancellazione di tutte le norme che mortificano il lavoro, la cosiddetta “Legge Biagi” innanzi tutto, con la previsione di una nuova scala mobile unitamente alla restituzione del fiscal drag per ridare a retribuzioni e pensioni almeno parte del potere d’acquisto che hanno perduto.

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