IL FALSO DELLA INSOSTENIBILITA DEL SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO E LA DISGRAZIA DELLALLUNGAMENTO DELLA DURATA MEDIA DELLE VITA
Verrebbe quasi da dire che si stava meglio quando si stava peggio stante le spensierate recriminazioni che circolano in questi giorni sul costo eccessivo del sistema pensionistico italiano che deve essere rivisto perché ormai incompatibile con il nostro quadro economico.
Gli interessati sostenitori di questa teoria squisitamente neoliberista, che sognano la realizzazione anche in Italia di un sistema previdenziale (e già che ci siamo, pure quello sanitario) interamente privatizzato, basano il loro ragionamento sul fatto che la durata media della vita si è allungata e di conseguenza dovrebbe essere allungato anche il periodo lavorativo.
Scordiamoci, dunque, la possibilità di abbandonare il lavoro a 60 anni, figuriamoci poi ai 57 o 58 che per il vice premier DAlema sarebbe un fatto addirittura scandaloso. Evidentemente per chi ha avuto la fortuna di fare esclusivamente il parlamentare, lessersi limitati a manovrare una macchina, od a consumarsi in un cantiere o dietro una scrivania per 35-38 anni, non è titolo sufficiente per aspirare ad una serena ed appagante vecchiaia. Va spremuto di più.
Ecco, dunque, perché si stava meglio quando si stava peggio, visto che le conquiste della scienza, alle quali dobbiamo essenzialmente questo allungamento della durata media della vita, anziché procurare vantaggi a tutti, ai lavoratori dovrebbero arrecare solo disgrazie. Nulla di nuovo sotto il sole: come sempre è accaduto, a guadagnarci dovrebbero essere esclusivamente i soliti potenti, protraendo a loro piacimento lo sfruttamento dei lavoratori.
Il tutto, poi, nel nome di una balla grande come una casa. quella secondo la quale la spesa sociale italiana sarebbe fuori controllo. Se così fosse dovrebbero suicidarsi i governanti di gran parte dei Paesi che con il nostro costituiscono lUnione Europea, visto che a livello continentale questa voce è mediamente più elevata di due punti, eppure in nessuno di essi il problema è costantemente allordine del giorno come si fa da noi.
Il fatto è che la compatibilità della spesa pensionistica non si determina con letà in cui si interrompe il rapporto lavorativo, bensì con il suo costo rispetto al sistema complessivo e da noi la sua dinamica risulta assai meno preoccupante che altrove, grazie anche allapporto di milioni di lavoratori migranti che versano regolari contributi nelle nostre casse previdenziali.
Ed anche se così non fosse, per riequilibrare il tutto basterebbe aumentare la spesa sociale in rapporto al prodotto lordo, fino a portarla al livello degli altri.
Compito di una vera sinistra dovrebbe essere questo e per finanziare i maggiori costi di una tale operazione ci limitiamo ad elencare alcuni fatti incontrovertibili: levasione fiscale in Italia si avvicina ormai ai 100 miliardi di euro allanno, quella contributiva assomma anchessa a decine di miliardi, il peso anche economico, oltre che sociale, degli infortuni sul lavoro ha raggiunto i 30 miliardi allanno. Cè, dunque, materia in abbondanza sulla quale lavorare per far quadrare i conti della Finanziaria dautunno, senza colpire ancora una volta i lavoratori.
E poi, che cosa si aspetta ad abolire la seconda parte della controriforma fiscale di Berlusconi con la quale sono stati regalati 6 miliardi di euro ai contribuenti più ricchi? E non è anche vero che in tutti i Paesi più ricchi, Italia compresa, è caduto in maniera esponenziale il peso dei salari nella distribuzione della ricchezza, tutto il contrario di quanto è stato invece per i profitti?
Infine, la recentissima ricerca dellIrres ci dice che buona parte del mondo del lavoro rischia di essere travolta dalla precarietà e che una massa di pensionati vive con meno di 600 euro al mese e quasi tutti gli altri con meno di 1.000 euro. Non è certo colpendo le pensioni che si realizza quella società più equa e solidale che lUnione aveva promesso chiedendo il voto agli italiani.
venerdì 8 settembre 2006
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