lunedì 12 giugno 2006

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INFRASTRUTTURE: DA UNA RICERCA DI UNIONCAMERE IL FALLIMENTO DELLE GRANDI OPERE BERLUSCONIANE ED IL RUOLO POSITIVO GIOCATO DALLE ISTITUZIONI LOCALI

Da una recente ricerca condotta da Unioncamere sul rapporto che corre fra infrastrutture e competitività, pubblicata appena lo scorso 9 giugno, si ricava lo stato reale degli investimenti sulle grandi opere che il governo Berlusconi ha sbandierato nel corso della recente campagna elettorale.


In particolare, con riferimento alla cosiddetta “Legge obiettivo”, varata proprio allo scopo di accelerare lo stato di attuazione delle infrastrutture considerate strategiche per il futuro del Paese, anche a costo di saltare dei passaggi fondamentali specie in tema di valutazione di impatto ambientale. Infatti, nell’intero periodo considerato, che parte dal 2001, a fronte di un piano di interventi per un investimento complessivo, sulla carta, di ben 267.278 milioni di euro, le opere che sono state ultimate ammontano a soli 23 milioni di euro: un nonnulla equivalente ad un ridicolo 0,01% del totale.

E’ dunque proprio il caso di dire che la montagna ha partorito il classico topolino, tanto più considerato che la gran parte di queste opere, per una spesa totale di 170.586 milioni di euro, figura ancora allo stato della progettazione, che per oltre la metà delle quali è appena allo stato preliminare e per circa un terzo addirittura ferma addirittura allo studio di fattibilità, ovvero deve essere ancora stabilito se è o no opportuno realizzarle.

Detto in altri termini, appena il 5,77% di queste opere, per una spesa di 15.410 milioni di euro, beneficia di una progettazione definitiva, ed una percentuale ancora più insignificante, pari allo 0,82% del totale, per 2.194 milioni di euro di spesa, gode invece di una progettazione esecutiva. Ciò che resta, per 88.763 milioni di investimenti corrispondenti al 33,21% del totale, riguarda opere affidate o in corso di affidamento, sempre che si rendano effettivamente disponibili le relative risorse finanziarie.
Questo per le grandi opere, ma non è che le cose vadano di molto meglio per il complesso delle opere pubbliche complessivamente intese, comprensive quindi quelle che non sono considerate “grandi”, ma che comunque sono necessarie per garantire lo sviluppo di interi territori.

In questo senso, oltre la metà degli interventi complessivamente finanziati nel quinquennio 2001-2005 la si deve all’iniziativa delle istituzioni locali (per l’esattezza alle Province ed ai Comuni per il 34%, alle regioni per l’11%, alle imprese di servizio pubblico locale per il 7% e per un altro 3% alle Asl e alle aziende ospedaliere).

Lo Stato si è fatto direttamente carico appena del 7% del totale e, indirettamente, per il tramite cioè delle Ferrovie, dell’Ente nazionale delle strade e di altre amministrazioni centrali per un altro 20%. Il restante si perde fra vari rivoli, comprendenti i gestori privati di servizi pubblici (autostrade, Enel, telecomunicazioni), il partenariato privato, ecc.
E si deve molto probabilmente proprio a questa maggiore efficienza delle istituzioni locali la collocazione di eccellenza di cui gode nonostante tutto l’Umbria a livello nazionale per quanto riguarda la dotazione infrastrutturale, se si fa eccezione, naturalmente, di quelle portuali che la nostra regione non possiede per cause naturali.

Al riguardo è più che mai illuminante ancora una ricerca, anch’essa recentissima, di Unioncamere, che in questo caso si è avvalsa delle competenze dell’Istituto Tagliacarte, che ha anche stilato una classifica in merito fra le 103 province italiane, mettendo a confronto i dati dell’anno 2000 con quelli del 2004. Si ha così che la provincia di Terni figura brillantemente al nono posto della graduatoria nazionale, guadagnando due posizioni in quattro anni; ma anche Perugia se la cava piuttosto bene, sia pure figurando più indietro, per la precisione al trentatreesimo posto, perché in tal caso le posizioni guadagnate sul 2000, quando era soltanto cinquantaseiesima, sono state addirittura ventitre. E sarebbe anche assai interessante stabilire quale sia stato al riguardo il ruolo giocato dagli investimenti che aveva fatto sulla nostra regione il precedente governo di centro sinistra, i cui effetti positivi si sono naturalmente fatti sentire con qualche anno di ritardo.

Per quanto riguarda, infine, le migliaia di miliardi che il centro destra sostiene di aver destinato all’Umbria nel corso dell’ultimo quinquennio, resta il fatto che le somme che ci sono state effettivamente assegnate sono considerevolmente minori rispetto a quelle dichiarate e che anche queste non sono comunque certe, visto che, come hanno denunciato sia i dirigenti delle Ferrovie che quelli dell’Anas, le casse di questi due enti sono desolatamente vuote, per cui l’attuale governo si dovrà impegnare per rimpinguarle adeguatamente, per consentire loro di portare a compimento gli interventi in corso e, se del caso, di poterne avviare di nuovi riservando una maggiore attenzione alla tutela dell’ambiente ed alla sua vivibilità.

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