mercoledì 19 aprile 2006

IL FINANCIAL TIMES E L’IDOLO NEOLIBERISTA. PERCHE’ NON GUARDANO I DANNI PRODOTTI IN GRAN BRETAGNA?

In attesa del definitivo pronunciamento della Cassazione, che non potrà non sancire la legittima, sia pure faticata, vittoria elettorale dell’Unione, si infittiscono le manovre a sostegno del tentativo del premier sconfitto, Berlusconi, di prendere tempo per rimandare il più in là possibile la sua uscita di scena.


Le trovate a ripetizione, sue e dei suoi alleati, per mettere in dubbio un esito elettorale non fortunato per lui, per assicurarsi ancora un ruolo determinante nella futura azione di governo, trovano non solo largo spazio nei Tg della Rai e di Mediaset, producendo volutamente confusione e disorientamento in un’opinione pubblica alla quale si nega la naturale conclusione della vicenda elettorale, ma anche orecchie attente negli ambienti politico-economici, nazionali ed internazionali, più sensibili alle politiche neoliberiste che sono congeniali ai loro interessi e che temono una svolta radicale in questo senso.

Risponde chiaramente a questi fini anche l’uscita del Financial Times, mirante apertamente a favorire la creazione anche in Italia di una sorta di grande coalizione alla tedesca che metta insieme le componenti moderate di entrambi i Poli.

L’autorevole quotidiano economico britannico, che pure ha aspramente criticato in passato i disastri economici prodotti dalla finanza creativa di Tremonti, e che non può certo imputare le difficoltà attuali del nostro paese ad un governo di centro sinistra che ancora non c’è, cogliendo il pretesto di una ancora non dimostrabile debolezza del futuro esecutivo dell’Unione, vuole in realtà dividere lo schieramento uscito vincente dalla competizione elettorale per escludere da qualsiasi responsabilità di governo le componenti, comuniste e sindacali, che con più decisione di altre si sono battute in questi anni contro le riforme del mercato del lavoro, alle quali dobbiamo l’abnorme moltiplicazione della precarietà che ha ingenerato la profonda insicurezza dei nostri giovani.

Confermando il vizio tutto britannico di voler dare lezioni di politica e di economia al resto del mondo, il Financial Times, talvolta in buona compagnia con altri quotidiani londinesi, accosta di proposito la situazione italiana a quella francese, imputando a questi due paesi la responsabilità di indebolire l’Europa. Non si dà pace per il successo riportato dalla lotta di milioni di giovani e di lavoratori che hanno costretto il presidente Chiraq a cancellare quel contratto di primo impiego con il quale si volevano introdurre oltre le Alpi quegli elementi di instabilità sociale i cui effetti perversi abbiamo sperimentato sulla nostra pelle.

Neoliberismo e precarietà del lavoro sono due termini che gli ambienti capitalisti rappresentati da certa stampa britannica coniugano in forte consonanza fra loro: l’uno non esiste senza l’altro e chi ne contesta uno è anche acerrimo nemico dell’altro. Ad essi ha fatto costante riferimento negli ultimi anni la politica economica del governo Blair, ma vorrà pur dire qualcosa se, a così lunga distanza dalla fine del secondo mandato, l’insofferenza nei suoi confronti si è fatta consistente al punto tale che anche nel suo stesso partito se ne prospetta la prossima sostituzione.

Forse la politica neoliberista così cara al Financial Times & soci non ha prodotto solo rose e fiori in Gran Bretagna, ma anche spine ben dolorose. Si decidano una buona volta ad indossare panni più modesti, per cominciare a guardare i danni che con le dottrine neoliberiste hanno prodotto in casa propria.

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