venerdì 17 marzo 2006

SECCA SINTESI DEL GOVERNATORE “ROSSO”: IN ITALIA SONO AUMENTATI I DEBITI ED E’ DIMINUITA L’OCCUPAZIONE SICURA

Al prossimo dibattito televisivo il premier Berlusconi ci confesserà candidamente di aver mandato un comunista in Bankitalia, al posto di Fazio. Sarà il consueto modo per ridimensionare i dati economici che lo sbugiardano e che sono questa volta contenuti nell’ultimo bollettino diramato da questo Istituto. Dati che possiamo così riassumere: dopo cinque anni di governo delle destre in Italia è tornato a crescere il debito pubblico e a diminuire l’occupazione.


Il governatore “rosso” si è dunque unito al coro che da tempo ha intonato il De Profundis per un esecutivo che si presenta agli elettori con un programma chiaramente fallimentare. Anche se l’ineffabile ministro Tremonti, che assieme alle “tre punte” e alla Lega porta tutta intiera la responsabilità per lo sconquasso provocato, tenta a sua volta di sfuggire dichiarando che per lui conta soltanto il giudizio di Bruxelles, perché sostiene che l’Unione Europea avrebbe mandato assolto il nostro Paese alla luce dell’ultima Finanziaria sottoposta al giudizio degli organi comunitari. Quindi i nostri conti sarebbero a suo dire più che a posto.

Niente di più falso, perché le autorità di Bruxelles hanno semmai attestato l’esatto contrario, ovvero che le cifre messe giù da Tremonti sono estremamente preoccupanti, tanto da assicurarci che seguiranno con estrema attenzione l’evolversi della situazione, riservandosi dall’intervenire con energia qualora le cose non si dovessero aggiustare prontamente come è stato loro promesso. In sostanza Bruxelles ha giudicato la manovra finanziaria presentatagli idonea, se applicata con coerenza (ed in tal caso saranno lacrime e sangue per tutti noi) a centrare gli obiettivi che ci ha indicati e che riguardano la riduzione del rapporto debito/pil, che con il governo Berlusconi è salito a quota 4,1%, e la riduzione ugualmente urgente del nostro colossale debito pubblico che, come vedremo meglio sotto, ha invece ripreso anch’esso a salire. Ciò vuol dire che gli organi di controllo comunitari si sono salomonicamente limitati a sottolineare la distanza che corre fra il dire e il fare, come ci ricorda anche un noto proverbio popolare.

Tornando ai dati di Bankitalia, questi ci dicono che il nostro Paese ha imboccato la retromarcia, tornando a dieci anni fa, prima cioè della cura risanatrice somministrata ai conti pubblici dal governo di centro sinistra, grazie alla quale siamo potuti entrare nell’area euro, dimostrando con ciò che la nostra economia non ha ancora superato il divario di crescita che la separa, non solo rispetto alle aree più dinamiche del mondo, ma anche rispetto agli stessi grandi paesi di questa stessa area, che pure marciano a scartamento ridotto sullo scenario internazionale.

Infatti, “secondo le previsioni della commissione europea e di consensus – è sempre Bankitalia a dircelo - l'economia italiana dovrebbe crescere nella media del 2006 a un tasso di poco superiore all'1%». Ma, intanto, nei primi mesi del 2006 si assiste a «un sostanziale ristagno della produzione industriale». E i guai non si limitano a questo, perché nel 2005 l' occupazione in Italia, pure essendo cresciuta dello 0,2% nel numero di persone impiegate, grazie ad una vera e propria esplosione di posti part-time, se calcolata sulla base dei posti di lavoro a tempo pieno è invece diminuita per la prima volta dal 1995: meno 0,4%. Fra i giovani compresi tra i 15 e i 29 anni, ad esempio, uno su quattro è precario, percentuale che sale addirittura al 49,8% per i neoassunti. Ciò vuol dire che un giovane italiano su due entra oggi nel mondo del lavoro senza godere di un contratto a tempo indeterminato, il solo che può garantirgli un futuro certo.

E continuerà ad essere così fintanto che - come ha spiegato efficacemente Prodi - nel nostro Paese, contrariamente a ciò che accade nel resto del mondo, il lavoro precario costerà alle imprese assai meno di quello fisso, rappresentando questo controsenso una forte tentazione per gli speculatori di ogni risma.

Ma il dato altrettanto e forse ancor più inquietante riguarda il debito pubblico che è tornato a crescere dopo 10 anni di riduzione costante, e in una misura che va anche oltre il previsto: più 2,6%, passando dal 103,8% registrato nel 2004 al 106,4% del 2005. E il debito che pesa sulle singole famiglie è altrettanto preoccupante visto che è quasi raddoppiato rispetto al 1996: in quell’anno ormai lontano rappresentava infatti il 18% del Pil nazionale, oggi ha raggiunto il 30% e ci raccontano senza ritegno la favoletta secondo la quale l’Unione vorrebbe tassare i risparmi, invece delle grandi rendite patrimoniali e finanziarie, considerato che alla grande massa di gente che si è impoverita con la cura del demiurgo che aveva promesso il miracolo per tutti, si contrappone una ristretta cerchia di fortunati, che comprende anche il nostro premier, che ha invece accumulato ricchezze immense.

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