giovedì 30 marzo 2006

PERSINO IL SOLE 24 ORE SOTTOLINEA L’ANOMALIA ITALIANA DEL LAVORO PRECARIO

L’anomalia del fenomeno della precarietà del lavoro in Italia è così evidente da sollevare le preoccupazioni persino dell’organo ufficiale della Confindustria, il Sole 24 ore, che ha ospitato un’attenta analisi al riguardo di Fiorella Kostoris e Padoa Schioppa.


I due economisti sono partiti addirittura dal significato dato nel “Palazzi” a questo etimo che è sinonimo di “incertezza, stabilità, instabilità, temporaneità”. E già questo sarebbe più che sufficiente per una sentenza di condanna, se non che, scavando scavando, gli stessi arrivano a sostenere che la debolezza occupazionale dei giovani in età 15-24 anni si è aggravata in Europa, tra il 2000 e il 2004, sorte che è anche toccata alla fascia più anziana (55-64 anni) delle persone in età attiva.

La posizione dei giovani nel mercato del lavoro è però ancora più fragile, come ci dicono i diversi indicatori disponibili: dal minore livello retributivo, al più alto asso di povertà, alla più forte incidenza degli squilibri.
Tanto per fare un esempio nel 2004 il tasso di disoccupazione giovanile della Ue superava il 18%, all’incirca il doppio di quello medio complessivo, con punte del 20% in Francia (in questo caso la media complessiva è del 9,4%) e addirittura del 27% in Italia, che è pari al triplo di quella generale nazionale.
Vista la cosa dall’altro verso abbiamo che nella Ue il 36,8% delle persone di 15-24 anni ha un lavoro, percentuale che si riduce al 30,4% in Francia e al 27,6% in Italia, quote entrambe notevolmente inferiori rispetto a quelle che si registrano per le altre fasce di età.

Di contro la frequenza in Europa di contratti di lavoro di tipo temporaneo è pari al 13,7% del totale, percentuale che però si raddoppia per le persone di 15-24 anni rispetto a quelle di 25-34 anni, fino a quadruplicarsi quasi al confronto con i più “vecchi”.

In sostanza abbiamo che non solo i giovani europei sono i più colpiti dalla disoccupazione, ma che quando riescono a trovare un lavoro la precarietà li riguarda assai più di altri.
Altri dati ci rendono ancora meglio la portata di questo fenomeno.

Secondo l’Insee, l’ufficio statistico francese, la metà dei giovani transalpini che trovano un’occupazione nell’anno successivo alla loro uscita dal sistema educativo, è assunta con contratto temporaneo. Appena tre lustri fa questa percentuale era del 25%.

E non è che in Italia ce la passiamo meglio, considerato che secondo Bankitalia la quota dei neo assunti italiani con contratti temporanei è oggi del 49,8% per le persone di 16-29 anni (nel 2005 era del 46,4), rispetto al 40,5% medio fra i neo-occupati di ogni età.

Si tratta, come si vede, di dati impressionanti anche perché non si tratta solo di un problema di “età difficile”, in quanto tale destinato ad essere superato con il trascorrere del tempo, dato che secondo le cifre diffuse dalla Commissione europea nel 2004, di 100 giovani assunti con contratto temporaneo, dopo il primo anno appena un quarto otterrà un posto permanente: 44 resteranno temporanei, 3 si saranno messi in proprio, 4 saranno tornati agli studi e ben 21 finiranno inoccupati.

Solo dopo sei anni 55 di loro saranno dipendenti a tempo indeterminato, mentre 16 resteranno temporanei e 21 si ritroveranno senza lavoro.

In Italia, dei 100 assunti in origine con un contratto temporaneo, dopo 6 anni soltanto 47 disporranno di un posto fisso, mentre 18 resteranno precari, 9 risulteranno inoccupati e 16 si ritroveranno fuori mercato, molto probabilmente nel sommerso. I restanti 10 troveranno altri sbocchi, magari rinunciando del tutto a ricercare un’occupazione.

Se non si modificherà sin da subito questo stato di cose, nel senso indicato nel programma dell’Unione che passa in primo luogo attraverso la cancellazione della legge “Maroni”, alla quale dobbiamo una miriade di forme di lavoro precario che sono perfino estranee alle esigenze della imprese, non potremo ripristinare in Italia la forma più naturale di occupazione che è quella a tempo indeterminato, la sola che può garantire ai nostri giovani una prospettiva di vita serena. Altrimenti la metà dei neo assunti italiani di oggi non avrà un posto sicuro neppure dopo il 2010.

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