PER BERLUSCONI LE DONNE SONO TROPPO IMPEGNATE...
PER BERLUSCONI LE DONNE SONO TROPPO IMPEGNATE NEL LAVORO PER DEDICARSI ALLA POLITICA, MA LA VERITA E CHE SONO MENO RETRIBUITE DEGLI UOMINI E LA LORO CARRIERA E PIU DIFFICILE
Chiamato a rispondere sulla scarsità di candidate donne nelle liste di Forza Italia, Berlusconi si è elegantemente riferito ad una non meglio precisate categoria di signore che non sarebbero disposte a lasciarsi coinvolgere nella politica, preferendo piuttosto badare alla loro carriera professionale ed ancor più alla famiglia. E insomma uscito dalla sua bocca lo stereotipo della donna italiana tutta casa e lavoro che non si impegna nel sociale perché queste cose è meglio lasciarle fare agli uomini che se ne intendono di più.
Chiamato a rispondere sulla scarsità di candidate donne nelle liste di Forza Italia, Berlusconi si è elegantemente riferito ad una non meglio precisate categoria di signore che non sarebbero disposte a lasciarsi coinvolgere nella politica, preferendo piuttosto badare alla loro carriera professionale ed ancor più alla famiglia. E insomma uscito dalla sua bocca lo stereotipo della donna italiana tutta casa e lavoro che non si impegna nel sociale perché queste cose è meglio lasciarle fare agli uomini che se ne intendono di più.
Pur non commentando oltre questa aberrazione, non possiamo comunque non constatare come anche per quanto riguarda loccupazione la condizione femminile in Italia sia assai poco brillante.
Ad esempio, una recente indagine compiuta da Od&M ci dice che nel settore privato la parità salariale è ancora un miraggio, nel senso che, ad uguali condizioni di lavoro, mediamente le retribuzioni delle donne risultano per quasi il 30% (esattamente il 28,7%) inferiori a quelle degli uomini.
Ma, ci si obietterà, lItalia non è uneccezione visto che questa discriminazione è presente anche in altri paesi della nostra Europa. Giusto, se non fosse per il fatto che da noi le donne sono penalizzate ancora di più, come fanno fede le rilevazioni analoghe che sono state effettuate al riguardo, per cui in Francia, secondo i dati resi noti da Msm, questo gap scende alla metà, per la precisione al 14,5%. Ma anche in Spagna, paese uscito abbastanza di recente da una dittatura fascista che non ha certo favorito levoluzione del mondo femminile, sono già riusciti a fare meglio che da noi, assestandosi al 26,9%, come hanno certificato ben due istituti, Icsa e Labor, che hanno operato in stretta collaborazione.
Sul nostro quasi 30% in meno di retribuzione pesa poi il fatto che in Italia l'occupazione femminile è in genere al di sotto degli standard europei, per cui le donne che sono riuscite a raggiungere i vertici sono ancora considerate delle "simpatiche eccezioni". E pesa anche il fatto che in Italia abbiamo una minoranza di donne che lavora fuori casa (appena il 45,1 per cento del totale, che rappresenta la quota più bassa nell'Europa a 15), senza considerare inoltre che nella sua stragrande maggioranza questa minoranza è ancorata ai livelli più bassi della scala gerarchica: appena il 9,6% dei dirigenti sono donne ed il 17,2% quadri; misura che sale al 36,3% fra gli impiegati, ovvero nella categoria ove trova collocazione la maggior parte delle nostre lavoratrici.
Curioso è poi anche il fatto che in Italia le divergenze retributive a danno delle donne rimangano consistenti anche ai livelli di impiego più elevati. Ad esempio le dirigenti italiane guadagnano in media l'8,6 per cento in meno rispetto ai loro colleghi maschi, il che, tradotto in soldini vuol dire che mentre nel 2005 il dirigente medio uomo ha potuto far conto su una retribuzione lorda annua di 94 mila euro, la sua collega femmina ha superato appena gli 86 mila.
Vi è infine anche qualche sottile differenza a livello territoriale (generalmente il Nord-Ovest tratta un po' meglio le donne) e di settore (nell'industria le differenze sono meno rilevanti rispetto a commercio, turismo, servizi), ma non vi è una sola eccezione che sovverta questa regola non scritta: sempre e comunque le donne guadagnano mediamente meno dei maschi.
Infine, tanto per aggiungere altro peso, dobbiamo mettere in conto lincidenza del costo della vita sulle retribuzioni, per cui se fra il 2001 ed il 2005 i dirigenti ed i quadri sono riusciti più o meno a difendersi dallinflazione, altrettanto non può certo dirsi per gli impiegati, guarda a caso la categoria di lavoratori dove le donne sono più presenti, il cui potere dacquisto si è invece ridotto del 5,8%. Peggio che a loro è andata ai giovani laureati, considerato che quelli con una esperienza lavorativa fra i 3 e i 5 anni, hanno visto crollare nello stesso tempo il loro reddito reale del 14,6 per cento, ma questo è un altro discorso.
Ad esempio, una recente indagine compiuta da Od&M ci dice che nel settore privato la parità salariale è ancora un miraggio, nel senso che, ad uguali condizioni di lavoro, mediamente le retribuzioni delle donne risultano per quasi il 30% (esattamente il 28,7%) inferiori a quelle degli uomini.
Ma, ci si obietterà, lItalia non è uneccezione visto che questa discriminazione è presente anche in altri paesi della nostra Europa. Giusto, se non fosse per il fatto che da noi le donne sono penalizzate ancora di più, come fanno fede le rilevazioni analoghe che sono state effettuate al riguardo, per cui in Francia, secondo i dati resi noti da Msm, questo gap scende alla metà, per la precisione al 14,5%. Ma anche in Spagna, paese uscito abbastanza di recente da una dittatura fascista che non ha certo favorito levoluzione del mondo femminile, sono già riusciti a fare meglio che da noi, assestandosi al 26,9%, come hanno certificato ben due istituti, Icsa e Labor, che hanno operato in stretta collaborazione.
Sul nostro quasi 30% in meno di retribuzione pesa poi il fatto che in Italia l'occupazione femminile è in genere al di sotto degli standard europei, per cui le donne che sono riuscite a raggiungere i vertici sono ancora considerate delle "simpatiche eccezioni". E pesa anche il fatto che in Italia abbiamo una minoranza di donne che lavora fuori casa (appena il 45,1 per cento del totale, che rappresenta la quota più bassa nell'Europa a 15), senza considerare inoltre che nella sua stragrande maggioranza questa minoranza è ancorata ai livelli più bassi della scala gerarchica: appena il 9,6% dei dirigenti sono donne ed il 17,2% quadri; misura che sale al 36,3% fra gli impiegati, ovvero nella categoria ove trova collocazione la maggior parte delle nostre lavoratrici.
Curioso è poi anche il fatto che in Italia le divergenze retributive a danno delle donne rimangano consistenti anche ai livelli di impiego più elevati. Ad esempio le dirigenti italiane guadagnano in media l'8,6 per cento in meno rispetto ai loro colleghi maschi, il che, tradotto in soldini vuol dire che mentre nel 2005 il dirigente medio uomo ha potuto far conto su una retribuzione lorda annua di 94 mila euro, la sua collega femmina ha superato appena gli 86 mila.
Vi è infine anche qualche sottile differenza a livello territoriale (generalmente il Nord-Ovest tratta un po' meglio le donne) e di settore (nell'industria le differenze sono meno rilevanti rispetto a commercio, turismo, servizi), ma non vi è una sola eccezione che sovverta questa regola non scritta: sempre e comunque le donne guadagnano mediamente meno dei maschi.
Infine, tanto per aggiungere altro peso, dobbiamo mettere in conto lincidenza del costo della vita sulle retribuzioni, per cui se fra il 2001 ed il 2005 i dirigenti ed i quadri sono riusciti più o meno a difendersi dallinflazione, altrettanto non può certo dirsi per gli impiegati, guarda a caso la categoria di lavoratori dove le donne sono più presenti, il cui potere dacquisto si è invece ridotto del 5,8%. Peggio che a loro è andata ai giovani laureati, considerato che quelli con una esperienza lavorativa fra i 3 e i 5 anni, hanno visto crollare nello stesso tempo il loro reddito reale del 14,6 per cento, ma questo è un altro discorso.
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