mercoledì 29 marzo 2006

FACCIAMOLA FINITA CON LO “SPOILS SYSTEM” E CON LE DEGENERAZIONI CHE QUESTA PRASSI HA PRODOTTO

L’ansia di modernità che ha pervaso nell’ultimo decennio la politica italiana ha introdotto nel nostro paese prassi che vi erano prima sconosciute, la gran parte delle quali di origine nordamericana. A ben guardare anche la cosiddetta “flessibilità” del lavoro, che tanti danni ha prodotto anche da noi, essendosi velocemente trasformata in “precarietà”, ha tali origine, avendola direttamente ed acriticamente mutuata dal modello di società liberista al quale il capitalismo nostrano ha sempre guardato come esempio da imitare. Al pari delle innumerevoli teorie che, al grido “meno Stato più mercato”, postulano la privatizzazione di parti consistenti dell’apparato sociale del paese, la sanità in primo luogo, nel nome di quella presunta maggiore efficienza (e risparmio per la finanza pubblica) che ha creato negli Usa lo sterminato esercito di 50 milioni di disperati che sono privi della pur minima copertura assistenziale.


C’è poi un’altra “moda”, della quale poco si parla, che abbiamo importato direttamente dagli Usa e che al pari delle altre ha prodotto danni gravi qui da noi. Ci riferiamo al cosiddetto “spoils system”, ovvero la prassi per la quale la parte politica che vince una elezione si arroga il diritto di rinnovare interamente la dirigenza degli enti pubblici, dal più piccolo municipio al più mastodontico dei ministeri. La giustificazione in questo caso è che chi ha responsabilità di governo deve essere circondato da persone di fiducia e, soprattutto, fidate, quasi che le istituzioni pubbliche siano equiparabili ad aziende i cui vertici sono di volta in volta chiamati a misurarsi con le diverse strategie di mercato imposte dal consiglio di amministrazione di turno.

Nel nome di questo discutibile principio abbiamo assistito in questi anni alle cose più vergognose, con la imposizione di manager per lo più improvvisati, in sostituzione di strutture dirigenziali consolidate. Semplici traffichini, amici degli amici, alla ricerca perenne di una sistemazione qualsiasi e comunque lucrosa, ricompensati per i servigi resi nel corso della campagna elettorale appena conclusasi, hanno sostituito apparati che erano il frutto di una selezione che aveva cercato, sia pure faticosamente e talvolta anche in forme contraddittorie, di riconoscere comunque le differenti specificità del dipendente pubblico.

Per di più, l’aspetto peggiore di questa prassi è che a farne le spese sono stati proprio i tecnici più capaci, quelli che erano cresciuti in modo spontaneo all’interno delle pubbliche amministrazioni contando pressoché esclusivamente sulle loro capacità. Figure che non potendo affidarsi a particolari protezioni politiche, sono state profondamente mortificate trovandosi più esposte di altre al vento del cambiamento.

Lo strumento escogitato per operare questa degenerazione è stato nella più larga parte quello, non ancora esecrato a sufficienza, della “consulenza”. Un andazzo che ha infestato l’intero arco della politica, ma che in specie negli ultimi mesi del governo delle destre è assurto ai massimi vertici, con il vergognoso assalto alla diligenza tentato per sistemare “a vita”, e naturalmente in ruoli dirigenziali, l’infinita pletora dei componenti, senza arte ne parte, degli smobilitandi gabinetti di ministri e sottosegretari vari. Pericolo che grazie alla ferma reazione dei sindacati abbiamo per fortuna scampato, sul quale, come lo stesso Prodi ha promesso a Vicenza, nel corso del suo confronto con gli industriali, l’Unione rifletterà profondamente allo scopo di porre fine al lungo gioco al massacro della pubblica amministrazione che si è incentrato proprio sul principio dello “spoils system”.

A questo fine si rende anche urgente una vigorosa iniezione di forze nuove e capaci da immettere, secondo forme assolutamente trasparenti, nella pubblica amministrazione, per riempire i vasti buchi di organico che sono stati prodotti da un processo di invecchiamento derivato da ripetuti blocchi del turn over ai quali dobbiamo la moltiplicazione della precarizzazione del lavoro e che si sono accompagnati all’altrettanto vasta sfiducia e demotivazione del personale di ruolo, incrementata da ingiustificabili ritardi nel rinnovo dei contratti di lavoro.

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