PRECARIATO FA MALE ALLA SALUTE
IL PRECARIATO FA MALE ALLA SALUTE: FORTE INCIDENZA DEGLI INCIDENTI DI LAVORO FRA I GIOVANI
I dati resi noti dallInail sugli infortuni del lavoro nel 2004 sono sconvolgenti: più di 380 mila di questi hanno colpito giovani al di sotto dei 34 anni, quasi la metà del totale che è di 869.522. Insomma, per lInail i giovani sono quelli che si infortunano di più in Italia nel lavoro.
In maggioranza questi infortuni capitano nellindustria (metalli, meccanica e costruzioni innanzitutto), ma anche nei trasporti e perfino nel commercio le cifre sono estremamente preoccupanti, tanto che, se il fenomeno infortunistico nel suo complesso sembra essere leggermente in regresso in Europa, le cifre che si riferiscono ai giovani lavoratori sono di tuttaltro segno, sfiorando il raddoppio addirittura. Il perché di questo andamento anomalo è presto detto.
Secondo unindagine della Cgil il clou si raggiunge nelle somministrazioni, soprattutto nella prima missione, con il 73 per cento dei lavoratori interinali che afferma di non essere stato informato sui rischi in agguato nel posto di lavoro e quasi sei su dieci non sanno nemmeno se esista nella loro azienda il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Tutto questo ci introduce nel mondo dei contratti atipici, laddove si annida più virulenta che questa insidia che trova forte alimento nell'inesperienza, nella scarsa formazione e nella scarsità delle informazioni. Ed il cambiare in continuazione il posto di lavoro accresce queste difficoltà, perché il giovane precario viene costretto a cambiare lambiente dove opera proprio nel momento in cui inizia a comprendere come vi si deve muovere, per affrontare una situazione del tutto nuova e diversa.
Il tutto aggravato da una nuova cultura imprenditoriale che si è fatta strada retrocedendo ad una concezione addirittura premarxiana il valore della forza lavoro, che non è più considerata come fattore essenziale della produzione, in quanto tale da preservare comunque, bensì come risorsa illimitata della quale si può fare uso e getta, essendo un costo da abbattere od almeno da comprimere il più possibile.
Se ciò vale per il lavoro regolarmente denunciato, visto che ci stiamo riferendo ai dati ufficiali dellInail, cè da chiedersi con grande preoccupazione che cosa stia accedendo nel vasto ed inesplorato arcipelago del lavoro nero. Anche ad essere ottimisti, ovvero a mantenere le stesse proporzioni presenti nel lavoro ufficialmente riconosciuto, siccome per lIstat questo fenomeno dovrebbe interessare più o meno 3 milioni e 300 mila lavoratori irregolari, applicando ad essi la stessa incidenza infortunistica ricaviamo un totale annuo di oltre 180-190 mila incidenti più o meno gravi, la cui metà circa, riferibile agli under 34: per un totale annuo di altri 70-80 mila casi da aggiungere ai 380 mila iniziali.
Il triste fenomeno delle morti bianche, che anche in Umbria si è evidenziato con forza, interessando molti lavoratori immigrati, spesso messi di fronte ad una professione che non conoscono, ci fa comprendere purtroppo come il quadro che stiamo descrivendo sia estremamente reale.
Ma non finisce qui, perché secondo una recente ricerca dell'European survey on working conditions, che riguarda anche lItalia, i lavoratori sotto i 24 anni sarebbero quelli più esposti ai rumori, alle vibrazioni e al calore. Quasi uno su cinque di loro lavorerebbe tenendo una postura dannosa, il 12,5% sarebbe chiamato a sopportare sforzi fisici gravosi; molti di loro effettuerebbero movimenti ripetitivi (capiterebbe al 35,8% dei giovani contro il 30% del resto della forza lavoro totale).
Senza contare che quasi un giovane su tre lavorerebbe "ad alta velocità". I giovani sono dunque maggiormente esposti ai rischi lavorativi per il loro minore grado di conoscenza e ciò va collegato strettamente alla condizione contrattuale di tipo atipico e flessibile che maggiormente li caratterizza (nellanno passato in Italia unassunzione su due è stata a tempo determinato) e, conseguentemente, alla loro minore esperienza lavorativa: due fattori che tendono a relegare in secondo piano i temi della salute e della sicurezza che vengono sacrificati rispetto allesigenza di mantenere comunque il posto di lavoro faticosamente agguantato.
Cè infine da considerare che anche la conformazione del sistema produttivo italiano, sbilanciato verso la piccola impresa, aggrava il fenomeno, perché è ancora lInail a dircelo- la formazione nelle grandi imprese in qualche modo si fa, ma nelle piccole e piccolissime è invece merce rara.
E non è che ci si salvi attendendo ad occupazioni meno dinamiche di altre, visto che, secondo un rapporto pubblicato a fine 2005 dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, che ha coinvolto esperti di 14 paesi europei e degli Stati Uniti, la mancanza di attività fisica è il principale rischio emergente. Così che chi lavora in un call center è esposto a rischi multipli e interagenti: troppo tempo seduti, scrivanie e sedie poco ergonomiche, rumore di sottofondo, cuffie inadeguate, pressione elevata sui tempi di lavoro con conseguente stress mentale ed emotivo.
Lunica strada per assicurare ai giovani una maggiore "protezione" passa dunque per la formazione e per l'informazione sui rischi, oltre che su nuove politiche di tutela, tutte cose che la condizione occupazionale di tipo atipico non consente perché a quel punto, a causa dellinvestimento che tutto ciò comporterebbe non sarebbe più economicamente conveniente per il datore di lavoro sbarazzarsene.
I fatti di Francia di questi giorni ci dicono comunque che i giovani non accettano la parte di anello debole del sistema produttivo moderno che è stata loro cucita addosso e che lidea della demolizione dei diritti che ha guidato le politiche neoliberiste di questi ultimi anni, oltre che errata si sta dimostrando impraticabile ed improduttiva. Il governo dellUnione dovrà perciò impegnarsi in un profondo cambiamento che non potrà non passare, come primo atto di giustizia riparatrice, nella cancellazione della cosiddetta Legge Biagi.
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