mercoledì 1 marzo 2006

CRESCITA ZERO

CON BERLUSCONI L’ITALIA HA RAGGIUNTO LA CRESCITA ZERO. ECONOMIA IN PICCHIATA DAL 2001 E RISCHIAMO UN ULTERIORE DECLASSAMENTO

Il bilancio del governo di centro-destra è fallimentare anche riguardo allo stato della economia italiana. Un dato soprattutto ci dà la dimensione del disastro che è stato prodotto ed è quello relativo alla crescita del nostro prodotto interno lordo. Infatti, se nel 2001 l’incremento del Pil italiano viaggiava attorno all’1,7%, in linea, quindi, con la media che faceva registrare l’Europa a 15 e al di sopra della media mondiale che era all’1,4%, tutti i principali istituti di analisi italiani e internazionali concordano ora su una crescita del Pil italiano, nel 2005, di appena lo 0,2%. In pratica siamo alla crescita zero, lontani anni luce tanto rispetto alla media europea che a quella mondiale.


Non vale, dunque, la giustificazione addotta dal Cavaliere riguardo alla sfavorevole congiuntura internazionale che evidentemente ha prodotto assai minori danni ai Paesi nostri partner.
Le stesse considerazioni in negativo valgono in materia di politica fiscale. Il gabinetto Berlusconi si è contraddistinto per un insieme pasticciato di tagli a livello nazionale e aumenti di prelievo su base locale, accompagnato da una raffica di condoni. Tutto ciò ha prodotto un effetto perverso, visto che la somma delle imposte dirette e di quelle indirette è passata dai 359 miliardi del 2001 ai 399 del 2005, con un aumento (dal 49,13 per cento al 51 tondo) dell'incidenza delle seconde, a tutto vantaggio dei redditi più alti.

Si deve dunque unicamente all'incremento dell'evasione, come documentano i dati del centro-studi Nens, se si è determinata una riduzione della pressione fiscale (mezzo punto, secondo l'Istat, tra il 2001 e il 2004). Pressione che è però tornata a crescere sul mondo delle imprese: il 'Tax misery index' calcolato da 'Forbes', che era sceso dai 153,9 punti del 2002 a 144 nel 2004, lo scorso anno è infatti risalito a 146. Oltre tutto sul fronte opposto è nello stesso tempo decollata la spesa pubblica, per cui l'avanzo primario è praticamente scomparso, crollando dal 3,4 allo 0,6 per cento.

La conseguenza è stata che il deficit pubblico, che era pari al 3,2% nel 2001, è ora salito a quota 4,3%, allarmando fortemente le autorità europee. E il rapporto tra debito pubblico e Pil, che dal 2001 era in costante discesa, è ripartito a razzo: quest'anno arriverà al 108,5 per cento, due punti in più rispetto al 2004.

In conclusione abbiamo che l’agenzia di rating Standard&Poor's, che nel luglio di due anni fa aveva declassato il nostro debito, portandolo da 'AA' a 'AA-', lo scorso 8 febbraio ha minacciato una nuova revisione al ribasso qualora questi conti non vengano rimessi rapidamente in carreggiata. Sarebbe una mazzata tremenda sulla spesa per gli interessi che grava sul nostro debito pubblico, il cui tasso medio s'è ridotto di soli 1,2 punti tra il 2001 e il 2004, mentre tra il 1996 e il 2000, con il governo di centro-sinistra, era calato di 3,7 punti.

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