BERLUSCONI SCARICA LE SUE RESPONSABILITA'
MENTRE I DATI SEGNALANO IMPIETOSAMENTE IL DECLINO DELLITALIA, BERLUSCONI CONTINUA A SCARICARE LE SUE RESPONSABILITA SUI SOLITI COMUNISTI SOVVERSIVI
Una cosa è certa: i lavoratori e i pensionati italiani non hanno bisogno delle statistiche, che pure fotografano fedelmente questa triste realtà, per accorgersi che da tempo sono costretti a tirare al massimo la cinghia. Anche nel confronto televisivo con Prodi, il nostro ineffabile presidente del consiglio ha sfoderato le sue cifre, vantando la mole di riforme e di provvedimenti che la maggioranza di centro destra ha approvato in questi cinque anni, come se alla quantità corrispondesse automaticamente la qualità.
Una cosa è certa: i lavoratori e i pensionati italiani non hanno bisogno delle statistiche, che pure fotografano fedelmente questa triste realtà, per accorgersi che da tempo sono costretti a tirare al massimo la cinghia. Anche nel confronto televisivo con Prodi, il nostro ineffabile presidente del consiglio ha sfoderato le sue cifre, vantando la mole di riforme e di provvedimenti che la maggioranza di centro destra ha approvato in questi cinque anni, come se alla quantità corrispondesse automaticamente la qualità.
Ma così non è e per comprenderlo è sufficiente attenersi ai fatti, ovvero allo stato reale in cui versa oggi il paese. Comprendiamo bene che il presidente Berlusconi abbia qualche difficoltà a vedere la povertà crescente in Italia, attestata anche dalla Caritas, guidata dai vescovi rossi, che abbraccia ormai milioni di italiani che non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese, visto che le sue aziende (pardon quelle che i suoi figli amministrano per suo conto), negli ultimi cinque anni di vacche magre per noi tutti hanno decuplicato i loro utili.
Per il resto, che fa se le nostre imprese stentano sempre di più a reggere la concorrenza sui mercati internazionali, perdendo quote significative di fatturato, se la nostra ricerca è ridotta al lumicino e di conseguenza ha ripreso vigore la fuga dei nostri cervelli allestero, se il carovita ha galoppato incontrollato, falcidiando il potere dacquisto dei redditi delle categorie più deboli, se il nostro debito pubblico è arrivato alle stelle, se abbiamo registrato nel 2005 una crescita zero, se, in sostanza, lItalia è oggi considerata la grande malata dEuropa, come attestano i dati economici fornitici non dallIstat (secondo il cavaliere ennesimo covo di infidi comunisti), ma da seri e accreditati istituti internazionali, a partire da Eurostat? Per lui basta negare tutto ciò ed è come se queste cose siano inesistenti e, se proprio non è possibile chiudere del tutto gli occhi, allora le responsabilità sono sempre di altri: a scelta di chi ha governato prima di lui, oppure delleuro che tanto fa lo stesso.
Sia come sia, resta il fatto che anche secondo la banca svizzera Ubs (altro covo di pericolosi sovversivi), i lavoratori italiani sono diventati, dopo quelli portoghesi, gli eurocittadini con il minore potere d'acquisto, cioè con il rapporto tra i salari e il livello dei prezzi più basso. Tanto che per comprarsi un hamburger, un Big Mac, debbono lavorare in media 26 minuti contro i 14 necessari in Lussemburgo. E ciò vale per tutto il resto dEuropa, fatta eccezione per il solo Portogallo.
Per sottolineare la differenza tra quanto si guadagna e quanto invece costa la vita nei diversi paesi europei, sempre l'Ubs, che nella sua indagine sul potere d'acquisto ha coinvolto 71 città di tutto il mondo, facendo 100 quello di Zurigo ha calcolato che quello di Roma è pari a 79,6, mentre fatto 100 il livello dei salari, la città eterna riesce a mettere insieme un misero 40,2, ovvero assai meno della metà. Quindi, mentre la differenza tra la città più cara e la capitale italiana è tutto sommato modesta, questa diventa enorme quando si parla di salari.
Tornando alleuro, secondo l'Ires-Cgil (Istituto di ricerche economiche e sociali), nei primi sei mesi del 2002 la moneta unica avrebbe pesato sulle nostre tasche per lo 0,5 per cento, effetto che è stato analogo in tutti gli altri paesi che lhanno adottata insieme a noi. Quel che è successo in Italia, a differenza che altrove, è però che nel 2002, 2003 e 2004 il governo ha programmato tassi di inflazione che erano la metà di quelli reali, per cui le nostre pensioni e i nostri salari si sono per forza di cose svalutati, visto anche che lo stesso governo si è guardato bene dal restituire ai lavoratori ed ai pensionati anche una minima parte del drenaggio fiscale che è stato attuato ai loro danni.
Questi due elementi, sommati ai ritardi dei rinnovi contrattuali soprattutto dei pubblici dipendenti e degli autoferrotranvieri, hanno prodotto una situazione 'anomala' nella quale si è realizzata una perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni di oltre 1.500 euro allanno. E questo calcolato su uno stipendio lordo medio di 23.000 euro che per un lavoratore nel settore manifatturiero, single e senza figli, diventa 16.377 euro netti all'anno (elaborazione Ires su dati Bankitalia e Istat).
Il danno è stato infine arginato dalla decisione del sindacato di non prendere più in considerazione i tassi d'inflazione programmati come base per i rinnovi contrattuali, bensì quelli ufficiali, ma ormai il guaio era stato fatto. Da qui lurgenza, per uscire da questa anomalia tutta italiana, di una nuova politica economica e fiscale che premi finalmente i redditi bassi, cosa che si potrà realizzate a patto che il nuovo governo, come ha promesso Prodi, concentri la sua attenzione sulla salvaguardia delle fasce più deboli della popolazione, sulla concertazione e sul sostegno al lavoro e all'impresa.
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