venerdì 24 marzo 2006

ATTENTATO LE DESTRE AL PATRIMONIO CULTURALE ITALIANO

GRAVE ATTENTATO DEL GOVERNO DELLE DESTRE AL PATRIMONIO CULTURALE ITALIANO CHE DEVE DIVENTARE FATTORE DI CRESCITA COMPLESSIVO PER IL PAESE

Un tema che è stato posto ai margini del dibattito elettorale è certamente quello della cultura. Scontri televisivi anche accesi ci sono stati riguardo allo stato dell’istruzione nel nostro Paese, con particolare attenzione alle cosiddette riforme che hanno colpito pesantemente la scuola pubblica a tutto vantaggio di quella privata e confessionale, come pure per l’Università che è stata attaccata anche e soprattutto sul piano dei contenuti, oltre che con un forte ridimensionamento dei fondi, in specie quelli volti alla ricerca, ma quasi nulla si è detto, ad esempio, sul grave attentato compiuto da questo governo ai danni del nostro immenso patrimonio di beni artistici e paesaggistici che è tutelato dall’art. 9 della Costituzione anche in considerazione del suo valore economico oltre che culturale. Altrettanto dicasi per la decurtazione pesantissima che c’è stata dei fondi a sostegno di quelle attività (teatro, cinema, mostra d’arte, musica, danza, valorizzazione del patrimonio archeologico e monumentale, degli archivi e delle biblioteche, ecc.) che altrove hanno al contrario visto concentrarsi in loro favore un’attenzione davvero encomiabile.


Da noi l’unica cosa che ha abbondato sono stati i tentativi, più o meno palesi, di svendere, privatizzandolo, questo patrimonio, tanto da provocare persino le vive proteste (ed in un caso, quello del ministro Urbani, addirittura le dimissioni), dei titolari del relativo dicastero. La discussa normativa sul “silenzio assenso”, per fortuna ampiamente ridimensionata nella sue portata più catastrofica da una decisa reazione che ha visto schierata a fianco del centrosinistra la grande parte del mondo intellettuale italiano, è quanto mai illuminante al riguardo. Se fosse rimasta tale alle intenzioni iniziali del governo, le mani della speculazione si sarebbero allungate su gran parte del nostro patrimonio paesaggistico che resta comunque sotto scacco in virtù dei due condoni che si sono ad essa succeduti e di una moltitudine di altre leggi e leggine che sono andate tutte nella medesima direzione, che è quella della “liberalizzazione” fino agli estremi voluta dalle imprese per i loro fini esclusivi.

Nel fornire alcune cifre partiamo proprio dal caso delle biblioteche e degli archivi, strutture che stanno alla base della cultura di ogni paese e che in Italia si sono viste ridurre del 70% i fondi indispensabili per farle funzionare, con il rischio di depauperare in maniera irreparabile il prezioso tesoro di conoscenze e di arte che custodiscono e che rappresenta un vanto per il nostro Paese. Altrettanto dicasi per il Fus, il Fondo Unico per lo Spettacolo, che nel 2006 ha lasciato per strada il 30% delle sue disponibilità e che rischia concretamente di perderne un altro 22% nel 2007, il che bloccherebbe ogni forma di sperimentazione, sia cinematografica che teatrale, e ci farebbe perdere 60.000 posti di lavoro a causa della paralisi che colpirebbe circa 5.000 aziende del settore, visto che ormai quasi tutti i registi sono fermi per l’impossibilità materiale di realizzare i loro progetti. La grande manifestazione del 14 ottobre scorso, che ha riuniti a Roma artisti, registi, sceneggiatori, attori, tecnici ed operatori, ci dà la dimensione del fenomeno.

Quanto all’apertura ai privati, i risultati li riscontriamo nelle fondazioni liriche, come il Carlo Felice di Genova, il San Carlo di Napoli e la stessa Scala di Milano, nei cui consigli di amministrazione questi presunti “benefattori” sono entrati solo per sfruttare i pochi soldi pubblici su cui potevano contare. Occupazione di posti che ha interessato per le stesse ragioni anche tradizionali istituzioni come Cinecittà.

La drammaticità di questa situazione ci è data dal confronto con quella presente in altre nazioni. Citarle tutte sarebbe impossibile per cui ci limitiamo al caso a noi più prossimo, sia per vicinanza geografica che per tradizioni culturali, che è quello della Francia. Ad esempio, mentre da noi per l’intero settore dello spettacolo sono disponibili 377 milioni di euro, oltralpe ne sono stati stanziati, nel 2006, per il solo cinema, 536 milioni. Una differenza abissale spiegabile con il fatto che la Francia investe in cultura più dell’1,5% del suo prodotto interno lordo che da noi si riduce alla miseria dello 0,3%.

Del tutto opportunamente, dunque, nel programma di governo dell’Unione, che dedica ben dieci pagine alle questioni della cultura e dello spettacolo in Italia, si pone l’accento sull’importanza di sfruttare questa grande ricchezza non solo come fattore di coesione sociale e di identità nazionale, ma anche come fonte primaria per una crescita economica diffusa, da armonizzare con il territorio e la vita dei cittadini quale ambito strategico di investimento pubblico per lo sviluppo dell’alta tecnologia e di un’ampia gamma di professioni specializzate che pongano la nostra produzione industriale ed artigianale in condizione di vantaggio sui mercati internazionali.

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