giovedì 9 febbraio 2006

UNIONI DI FATTO

PERCHE’ NEGARE ALLE UNIONI DI FATTO I DIRITTI ELEMENTARI RICONOSCIUTI ALLE FAMIGLIE TRADIZIONALI? L’ITALIA E’ UN PAESE LAICO CHE STABILISCE L’UGUAGLIANZA FRA TUTTI I CITTADINI

Ci risiamo, ogni qualvolta si tenta in Consiglio regionale di abbozzare una qualche forma di tutela per le cosiddette coppie di fatto, che rappresentano ormai larga parte della popolazione italiana ed anche umbra, si scatenano i vescovi e quelle forze politiche che non vogliono prendere atto del fatto che il nostro è uno Stato laico, non sottoposto ad alcun regime confessionale, che in quanto tale deve rispondere unicamente ad una Costituzione nel quale è solennemente sancito il principio della uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Uguaglianza che vuol dire anche e soprattutto godimento per tutti degli stessi diritti, cosa che oggi non è in modo assoluto.

Ma più delle dichiarazioni di principio vale portare degli esempi che ci attestano come in Italia vi siano ancor oggi cittadini fortemente discriminati ai quali questa uguaglianza di diritti non è assolutamente garantita. Il caso più eclatante lo abbiamo avuto davanti agli occhi di recente, con la morte in Iraq, a Nassirya, del regista Stefano Rolla, una delle vittime del sanguinoso attentato del 12 dicembre 2003 nelle quale trovarono la morte numerosi nostri connazionali. Egli conviveva da molti anni con una donna, formando con essa una vera e propria famiglia, cosa che non è stata però sufficiente per la legge attuale visto che, non risultando essere la “sposa legittima” del caduto, questa non solo non venne avvertita ufficialmente delle morte del suo compagno, ma non venne neppure invitata alle cerimonie celebrative e non riceverà i risarcimenti che sono invece previsti per i familiari delle altre vittime.

Questo è il quadro che abbiamo di fronte ed è a questa incredibile discriminazione che si cerca di porre rimedio proponendo una nuova legislazione che tuteli finalmente milioni e milioni di cittadini che si sono uniti in un vincolo familiare contratto al di fuori del matrimonio, civile o religioso che sia, talvolta allietato anche dalla nascita di figli regolarmente riconosciuti.

Ma non finisce qui, perché a questi nostri connazionali sono negate altre importanti tutele. Ad esempio, alla morte del componente della coppia (uomo o donna non fa alcuna differenza) che è titolare di un contratto d’affitto, al compagno o alla compagna sopravvissuti è negato il diritto di subentrare autonomamente nel contratto medesimo, ovvero di continuare a vivere nella casa dove avevano abitato insieme per anni. E non hanno diritto nemmeno ad una quota minima di eredità, come pure alla pensione di reversibilità, od anche la possibilità di assumere qualsiasi decisione relativa alla sepoltura del convivente deceduto o in merito ad eventuali espianti e trapianti di organo. E che dire del diritto loro negato di assistere il convivente ricoverato in ospedale e bisognoso di continue attenzioni?

Ci chiediamo, allora, quale peccato mai compiamo volendo cancellare queste vergogne, se cerchiamo una strada per regolarizzare finalmente anche queste unioni, riconoscendo ai loro membri (anche di sesso uguale, perché no!) gli stessi diritti, interpersonali e non, che sono garantiti a tutti gli altri cittadini italiani canonicamente sposati.

Ad ognuno rimarrà il diritto di stabilire il proprio vincolo familiare secondo la forma che riterrà più opportuna, ricorrendo al matrimonio religioso o a quello civile, ma anche, se lo preferirà, escludendo ogni tipo di matrimonio, secondo quella che ci sembra la più corretta interpretazione di un dettato costituzionale che lascia a ciascun cittadino italiano il diritto di indirizzare le propria vita rispondendo esclusivamente al suo libero arbitrio.

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