lunedì 7 febbraio 2011

Appunti per una fenomenolgia del compagno Paolo - Alberto Massazza


Mi viene difficile pensare a Paolo come ad un intellettuale o un artista; mi viene difficile pensarlo come amico o conoscente; mi viene difficile riportarlo a una qualsiasi categoria e metterlo sullo stesso piano di intellettuali, artisti o semplici amici che ho conosciuto, direttamente o indirettamente, nella mia vita.

Paolo era altro o meglio era l'altro, quell'altro che pur avendo abbandonato la pratica di una quotidianità conforme agli altri, quotidianamente bussava alla porta della rappresentazione sociale perugina e né fotografava il suo replicarsi, dislocandolo e ridislocandolo in un orizzonte mitico nel quale la routine diveniva simbolo di un'alienazione in attesa di riscatto. Per questo ogni persona, finanche la più anonima, per Paolo aveva, parafrasando Andy Warhol, tutto il diritto al suo quarto d'ora di leggendarietà almeno una volta nella vita. Attraverso la ridislocazione mitica della quotidianità, Paolo risolveva il problema comunicativo dovuto alla sua estraneità e così facendo la rendeva culturalmente funzionale al tessuto sociale con cui interagiva in quanto essa diveniva momento di condivisione e partecipazione e conseguentemente politico.
Era questa in sostanza la sua estraneità organica ovvero il suo essere altro ma integrato nella realtà ed interprete della stessa, attraverso una lettura che non procedeva per proposizioni, ma per parole chiave, per simboli. La costruzione di una tale metafisica dei simboli trovava la sua urgenza nel desiderio assoluto di coniugarsi, di darsi e di porsi, nella necessità di teatralizzare il suo fare politico, di rendere estetico (prima che etico) il suo intervento sociale. In pratica, la priorità era dare una forma al suo agire ed essere agito e successivamente trovare sostanza e giustificazione in quella forma: in quest'ottica si situa la formula declamatoria, la più rappresentativa tra le sue forme espressive. Con essa, Paolo trasformava qualsiasi luogo in un hyde park speakers' corner astratto e nomade, nel quale il messaggio diveniva mantra e abbandonava l'agone politico (nonostante la forte connotazione) per prendere delle traiettorie psico-emotive, come nel racconto mitico, ben più efficaci dal punto di vista di una trasformazione del mondo alla quale tendevano; in pratica aveva abbandonato l'oratoria persuasiva per continuare la lotta attraverso una forma di astrazione simbolica della realtà quale appunto era ogni sua declamazione, rendendo protagonisti di questa costruzione mitica tutti coloro che interagivano col suo universo.
Ancor più chiara risulta la sua organicità come memoria storica vuoi delle lotte e dei movimenti della sinistra dagli anni settanta in poi, vuoi come cronista estemporaneo ma preparatissimo della realtà locale, nazionale e internazionale. In questo sta l'aspetto più sorprendente della testimonianza di Paolo, l'integrarsi della sua estraneità in modo totale con la realtà sociale, una vera e propria simbiosi che trovava la sua sintesi perfetta nelle declamazioni dove la cronaca si inseriva nel rituale mitico-simbolico della sua performance, ridislocando l'attualità locale e internazionale in un orizzonte mitico.
Il suo agire ed essere agito in una scena alla quale non apparteneva fino in fondo, rappresenta la straordinarietà della testimonianza di Paolo e offre a chi è stato capace di coglierne il significato l'opportunità di un'apertura all'altro diretta, senza filtri; alla società che lo ha visto attore, meglio mattatore sulla sua scena, offre l'opportunità di andare oltre il funzionalismo materialista che la condiziona ed aprirsi in una forma nella quale il non-esserci è altrettanto importante dell'esserci; in sintesi offre l'opportunità di farsi società aperta, inclusiva e non esclusiva: non a caso per lui erano tutti compagni, a prescindere dalla forza e dalla direzione dell'impegno politico di ciascuno.
Alberto Massazza

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