RIFORME REGIONALI E RISARCIMENTO SOCIALE
RIFORME REGIONALI E RISARCIMENTO SOCIALE
Rifondazione Comunista dellUmbria già da tempi non sospetti ha sostenuto lidea che la nostra regione abbia la necessità, da un lato, di una serie di riforme di semplificazione e, dallaltro, di razionalizzare tutto il sistema istituzionale, in modo di cercare di dare risposte sempre più adeguate alle domande dei lavoratori, dei cittadini e del sistema delle imprese. Riforme in grado anche di liberare risorse economiche da indirizzare in modo selettivo a sostegno dello sviluppo industriale ed economico, nonché al potenziamento e alladeguamento del welfare regionale.
Un pacchetto di provvedimenti strutturali che mettano a disposizione della Regione i mezzi finanziari necessari per avviare un percorso di iniziative tese al risarcimento sociale di qualche centinaio di migliaia di umbri che, in questi anni di liberismo berlusconiano, hanno subito una consistente riduzione dei diritti sociali esigibili, nonché labbassamento del potere dacquisto dei loro salari, dei loro stipendi e delle loro pensioni.
Un impoverimento certificato da un -10% del guadagno mensile rispetto agli altri lavoratori delle regioni del Centro-Nord.
Pensiamo che sia compito di questa maggioranza regionale porre con forza tra le proprie priorità unequa redistribuzione della ricchezza, proprio per risarcire coloro che in questi anni hanno visto peggiorare la propria condizione materiale.
E anche per questo, dunque, che torniamo a sollecitare la Regione dellUmbria affinché rifinanti al più presto la Legge 11, così da consentire alle istituzioni locali, come la Provincia di Perugia, di realizzare pienamente le iniziative a sostegno del lavoro che hanno da tempo programmato e che vengono ostacolate da una insufficiente disponibilità di risorse finanziarie.
Ed è a nostro parere soprattutto sul versante della qualità del lavoro che dovremo costruire una nuova politica regionale capace di coniugare il sostegno reale ai poli di eccellenza umbri (ricerca, innovazione, credito) con la costruzione dei sistemi locali di produzione, con le produzioni tipiche, in sostanza con un nuovo asse territorio-qualità-lavoro.
Il risarcimento sociale dovrà partire proprio dallinnalzamento della qualità del lavoro, dal riconoscimento del suo reale valore, dalla lotta alla precarietà.
Questa necessità emerge con forza anche dalla lettura dei dati della rilevazione Excelsior 2006 per la provincia di Perugia che, al di là dellaspetto positivo relativo allincremento di occupazione in generale (+1,7% pari a 2.050 unità), ci spingono ad alcune preoccupate riflessioni sulla qualità del lavoro che oggi è offerto in particolare ai nostri giovani. Dati che, pur non completabili con quelli non resi noti della provincia di Terni, assai probabilmente descrivono una situazione estendibile allUmbria nel suo complesso.
Al riguardo abbiamo già sottolineato altre volte la consistente diminuzione del numero dei contratti a tempo indeterminato sul totale della nuova assunzione, la cui percentuale scenderà questanno considerevolmente al di sotto della quota 50% (per la precisione saremo al 39,7%, di molto inferiore alla media nazionale del 46,3% ed anche alla media provinciale degli ultimi 3 anni che era del 42,4%). Di contro assisteremo ad un consistente incremento dei contratti di lavoro a tempo determinato, che salirebbero a quota 44,4%, una misura maggiore rispetto alla media provinciale dellultimo triennio che si era assestata al 42,4%.
La precarietà è dunque in aumento e colpirà in misura maggiore rispetto al passato in specie coloro chi si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro. Ma ci sono anche altri aspetti poco incoraggianti che fotografano lo stato di arretratezza evidente del nostro sistema produttivo che non possiamo trascurare perché si riflettono in maniera diretta sulla qualità dellofferta occupazionale.
Il primo di questi attiene alla domanda di dirigenti, di impiegati con elevata specializzazione e di tecnici, che per il 2006 dovrebbe essere di circa 790 unità, e già qui registriamo un consistente deficit rispetto alle 870 nuove assunzioni che si hanno nel 2005, perciò le figure professionali di livello più alto rappresenterebbero il 9,6% appena delle assunzioni totali, dato che sarebbe inferiore di sei punti percentuali rispetto alla media nazionale. E se ciò non basta va considerato che le entrate di personale in possesso di titoli universitari (meno di 400 unità) rappresenterebbero nel 2006 una quota pari al 4,6% del totale, quasi la metà rispetto alla media nazionale che è dell8,5%.
In sostanza la maggiore precarietà del lavoro si accompagnerà nella provincia di Perugia con unofferta di lavoro scarsamente qualificata e proprio i giovani che più si sono dedicati allo studio, acquisendo conoscenze tecniche e professionali altrove certamente più apprezzate, saranno quelli che incontreranno da noi maggiori difficoltà ad inserirsi e dovranno attendere per chissà quanto tempo ancora una sistemazione dignitosa e stabile.
Questo contraddice clamorosamente lassunto secondo il quale le nostre Università non formerebbero un numero sufficiente di figure altamente specializzate rispetto alle necessità delle imprese, mentre la realtà è che le aziende italiane, ed evidentemente ancor più quelle umbre, per competere sui mercati internazionali hanno preferito seguire in questi anni una strada di basso profilo, basata più che sulla ricerca e lintroduzione di nuove tecnologie, sullo sviluppo di lavorazioni che non richiedono unelevata specializzazione della manodopera.
Una tendenza che continua, come ci confermano due altri fatti: il primo relativo alle assunzioni di personale in possesso del solo diploma di scuola media superiore, che dovrebbero attestarsi sulle 2.600 unità, per una misura pari al 31,4% del totale, in questo caso con un incremento consistente rispetto alla media del triennio precedente che era del 29,3%; il secondo riguardante le assunzioni di personale proveniente da paesi extracomunitari, solitamente impiegato in mansioni di livello inferiore e peggio retribuite, che rappresenterebbero nel 2006 una quota massima del 26,4%, superiore al valore previsto a livello nazionale fermo al 23,3% e che registra al contrario un apprezzabile decremento. Saranno soprattutto le imprese di costruzioni, con una percentuale del 48,3%, ad assorbire manodopera di origine extracomunitaria.
In conclusione, anche questi dati ci dicono che non possiamo sfuggire al percorso riforme, più risorse, più qualità dello sviluppo e del lavoro, se vogliamo iniziare per davvero quellopera di risarcimento sociale e di redistribuzione della ricchezza al quale ho fatto cenno allinizio.
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