martedì 2 novembre 2010

Domiziano il domus et deus

La dinastia imperiale Flavia ha origini umbre, infatti la madre di Vespasiano, Vespasia Polla, era originaria di Norcia e la sua “domus” è tuttora visitabile a Spoleto.


Dopo Vespasiano e Tito, toccò a Tito Flavio Domiziano essere imperatore di Roma.

Domiziano nacque il 24 ottobre del 51 a Roma. Era il terzo genito di Vespasiano e Flavia Domitilla, ed era fratello di Flavia Domitilla minore e Tito.

Le fonti antiche ci dicono che ricevette l’educazione riservata ai giovani della classe senatoriale:studiò retorica, letteratura, legge e amministrazione e che era un ragazzo dalla conversazione elegante. Vespasiano, impegnato dal 67 nella lotta contro la rivolta giudaica, nel 69 fu proclamato imperatore delle legioni d’oriente contro il regnante Vitellio. Con Vespasiano si unirono le legioni stanziate nelle regioni danubiane che, al comando di Marco Antonio Primo, entrarono in Italia e, sconfitto l’esercito di Vitellio a Bedriaco, presso Cremona, avanzarono verso Roma attestandosi nei pressi di Narni in attesa di rinforzi. Vitellio abdicò ma i sui veterani di Germania, infuriati sostenitori dell’imperatore, non accettarono la resa e presero d’assalto il Campidoglio dove il prefetto Flavio Sabino, fratello di Vespasiano, si era rifugiato con le sue coorti e con il giovane Domiziano: questi scampò alla strage, travestendosi da sacerdote di Iside e riuscì a salvare la vita al contrario di Sabino.

Due giorni dopo, il 20 dicembre del 69, Antonio Primo entrava in Roma, conquistandola ed uccidendo Vitellio; il 21 Dicembre il Senato proclamava Vespasiano imperatore e console con il figlio Tito, mentre Domiziano era eletto pretore con potere consolare. Quando giunse a Roma, Muciano, il legato della Siria che aveva appoggiato il pronunciamento di Vespasiano, presentò alle truppe Domiziano come cesare e reggente fino all’arrivo di Vespasiano.

Domiziano fece una buona impressione ai senatori per la modestia e la correttezza del comportamento e il suo atteggiamento moderato anche se il potere fu nei fatti comunque esercitato da Muciano

Si rifiutò di svelare i nomi dei delatori del precedente regime, invocando la necessità di sopire gli odi e le vendette. Si limitò a revocare i consoli ordinati da Vitellio, ma , per evitare disordini, definì una tregua con i suoi legionari presenti a Roma, congedandoli con onore solo in seguito.

Si dice che Domiziano sia stato insofferente al ruolo preponderante esercitato da Muciano alleandosi con i suoi avversari politici, Antonio Primo, il vincitore di Vitellio, e il prefetto del pretorio Arrio Varo. Muciano fece quest’ultimo prefetto all’annona, concedendo il comando del pretorio a un amico di Vespasiano, Arrecino Clemente.

Intanto, una coalizione di tribù germaniche, si era unita alla rivolta di Giulio Civile, mentre altre popolazioni sottraevano in Gallia vasti territori al demanio romano. Fu l’armata di Petilio Ceriale a schiacciare quest’ultima rivolta, senza bisogno dell’intervento di Domiziano che, volendo esercitare il ruolo di cesare, dall’Italia aveva superato le Alpi insieme con Muciano, molto dubbioso delle capacità militari del giovane principe, si fermò a Lione con Domiziano tornando insieme, di lì a poco a Roma.



Tito Flavio Domiziano fu imperatore per 15 anni, dal 14 settembre 81 al 18 settembre 96, governò più a lungo degli altri Flavi.



Fu pretore nel 70 d.c., nello stesso anno sposò Domizia Longina, dopo averla costretta a divorziare dal precedente marito Lucio Elio Lamia. “Ma in seguito Domizia si innamorò perdutamente di un attore di nome Paride, ed egli la ripudiò, ma restando così intensamente legato a lei da richiamarla al suo fianco, adducendo come scusa di ciò la volontà del popolo”. (Luca Canali).



A dispetto dell’avventatezza iniziale, questo matrimonio fu vantaggiosa per entrambe le parti. Domizia Longina era la figlia unica del generale Gneo Domizio Corbulone, una delle vittime del terrore neroniano, ricordato come valoroso comandante e importante politico. Ebbero un figlio nel 71 ed una figlia nel 74, ma entrambi morirono giovani.



Sia il padre che il fratello tennero Domiziano lontano dall’esercizio effettivo del potere pur ricoprendolo di onori.

Il suo governo si discostò dalla tradizione Flavia, contrassegnandolo apertamente come autocrazia anche sul piano simbolico, pur facendosi supportare nella sua azione quotidiana dai consiglieri di suo padre Vespasiano.

In 15 anni d’impero fu 10 volte console, fatto questo senza precedenti nella storia istituzionale romana, tanto da progettare nell’84 addirittura un consolato decennale, e nell’85 divenne console perpetuo.

Avviò il culto della dinastia Flavia, del padre e del fratello, e quella di Giove. “Ebbe una concezione religiosa dell’autorità politica e ricercò, senza vedersela mai conferita ufficialmente, ossia dal Senato, la denominazione ancora trasgressiva per la sensibilità comune di “signore e dio” (dominus et deus), (G.A.Cecconi).

Domiziano interpretò il suo governo rompendo lo schema agusteo di rispetto per l’autorità del Senato. Entrò in rotta di collisione con l’oligarchia senatoria, che seppur disposta ad accettare l’impero, si opponeva fermamente alla messa in discussione dell’ipocrita architettura istituzionale costruita da Augusto, in cui l’equilibrio tra i poteri del Senato e dell’imperatore erano fondati sulla tradizione repubblicana.

Ma tale tradizione respingeva le manifestazioni assolutistiche pericolose non solo per il prestigio dell’aristocrazia ma per la sua stessa sopravvivenza.

La maggior parte dei senatori era ostile a Domiziano per principio: la decadenza, iniziata nel I° secolo a.c., del sistema clientelare radicato intorno agli aristocratici, a causa del sorgere e dello sviluppo di un nuovo tipo di clientela, militare e provinciale , che si organizzava intorno al principe, patrono e capo militare, favoriva l’ostilità nei confronti dell’istituto imperiale, che sottraeva l’assegnamento al patriziato delle magistrature, fonti di enormi arricchimenti, che ora andavano a favore degli homines novi provenienti dalle fila dell’esercito e dell’apparato burocratico legato al principe, e relegava sempre di più il Senato aristocratico, progressivamente svuotato di potere, a una funzione di ratifica di decisioni prese al palazzo dell’imperatore.

Tuttavia l’atteggiamento dei senatori non poteva essere apertamente ostile: al contrario, benché accadesse che complottassero separatamente, essi mostravano spesso un’apparente ammirazione che si manifestava in concreti omaggi, come l’ordinanza dei giochi, la celebrazione di sacrifici, la commissione di statue, la costruzione di archi trionfali. Il comportamento dell’aristocrazia senatoria era imitato da una corte di letterati, che speravano di ricavare dalle loro lusinghe protezione e privilegi: si distinsero per cortigianeria verso Domiziano intellettuali del valore di Marziale, Quintiliano, Silio Italico e Stazio. Si comprende come lo scetticismo, la diffidenza e il disprezzo dell’imperatore nei confronti dei cortigiani e dell’ambiente senatorio, che una storiografia immediatamente posteriore attribuirà a patologie della sua personalità, potessero avere oltre più reali motivazioni.

Tuttavia, se Domiziano ostentò indifferenza e disprezzo riguardo le prerogative del Senato, non osò nemmeno, conoscendo la forza e il prestigio di cui quell’istituzione godeva ancora, diminuirne i poteri; della carica di censore si avvalse solo per escludervi, per indegnità, un solo senatore, e fece consoli personaggi aristocratici di primo livello.



Il governo di Domiziano, nelle sue nuove forme assolutistiche fu innovativo ed ebbe comunque un effetto positivo sull’efficienza del controllo dell’amministrazione provinciale e di quella giudiziaria.

Favorì il passaggio ai cavalieri di funzioni destinate ai liberti, aiutando la maturazione di un’amministrazione meno privatistica e più burocratica.

“Si distinse inoltre per una politica moralistica,……..si colpivano gli adulteri, si reprimevano le ‘prohosae feminae’, la prostituzione dei bambini, la dignità dei membri degli ordini……Durissima la severità di tipo arcaico, in materia religiosa. (Pani, Todisco).

Inoltre pose un limite all’arruolamento militare nelle province e aumentò lo ‘stipendium’ ai legionari, ai pretoriani e agli ausiliari, di molte province, di un terzo, tentò una nuova politica agraria attraverso lo sviluppo della coltura granaria a scapito di quella della viticoltura per proteggere così l’agricoltura italica, ed impose una politica di lavori pubblici, di opere monumentali, privilegiando il completamento e il restauro di edifici (Anfiteatro Flavio, templi di Giove Capitolino e di Castore e Polluce).

“Come Nerone anche Domiziano fu odiato per le sue tendenze alla monarchia assoluta, che si accompagnavano ad un dichiarato filellenismo e a una frenetica attività edilizia intesa ad imprimere sulla città un segno decisivo e imperituro. Non a caso Domiziano sarà l’autore della nuova residenza imperiale, il palazzo Palatino che resterà per tutto l’impero la dimora dei principi”.(E.Lo Cascio).



“Domiziano fondava la sua autorità sull’appoggio dei piccoli proprietari (possessores) italiani, proteggendoli, tra l’altro, dalla concorrenza delle province ……….potrebbe chiamarsi l’imperatore dei piccoli proprietari d’Italia” (S. Mazzarino).



“Ebbe molta cura per gli spettacoli gladiatorii, ma anche musicali e canori e introdusse la novità del tutto inconsueta dei combattimenti tra donne”. (Luca Canali).

“Sul piano militare adottò una politica prudente: dopo varie campagne contro i Catti (83 e 89), rafforzò il “limes” (confine) tra il Reno e il Danubio, impiantando gli ”agri decumatesi”, cioè una fascia di territorio divisa in lotti e assegnata ai veterani congedati dalle legioni, e “da una struttura consistente in una rete di forti custoditi da truppe ausiliarie e terrapieni collegati da strade, davanti ai castra”. (Pani – Todisco).



“…..per una lunghezza di 542 chilometri, dal Reno sotto Coblenza fino al Danubio sopra Regensburg”. (A. Ziolkovski).

“Si trattava di un provvedimento che implicava una nuova concezione di limes” ( Pani – Todisco).

In modo da costruire una protezione verso l’esterno, tentando di prevenire la pressione delle tribù barbariche ad est dei confini imperiali.



Trasformò in province i due distretti militari lungo il Reno, la Germania Inferiore e Superiore (90).

Sul confine danubiano, seppur con una grave sconfitta militare nell’86 subita dal generale Cornelio Fusco, intraprese due campagne contro i Daci, guidati dal re Decebalo che continuava a fare incursioni nella Mesia, riuscendo in qualche maniera a rendere più sicure le zone a sud del Danubio attraverso una “pace comprata”, una pace che, presentata dalle fonti come un cedimento ai barbari, non fu certo una clamorosa vittoria. Domiziano condusse un’ultima campagna nel 92 contro popolazioni sarmatiche, anch’essa con scopi di contenimento.



“Nel frattempo Gneo Giulio Agricola, allora governatore della Britannia e che durante il regno precedente era già stato impegnato in operazioni militari nel Galles e nella Scozia meridionale, fece tre successive incursioni nella Caledonia vincendo una battaglia al monte Graupo, che forse corrisponde al Bennachie, nell’Aberdeenshire. Nell’85 Agricola fu richiamato a Roma, soprattutto per le insistenze del genero Tacito, suo acceso ammiratore, che cominciava a detestare l’imperatore (preso dal rimorso per gli alti uffici che da lui aveva ricevuto). ma quello del monte Graupo non deve essere stato il trionfo che alcuni storici dicono, dal momento che non ne conseguì alcuna annessione di territorio. (M.Grant).



Con il trascorrere degli anni si andò ad accentuare il carattere assolutistico del governo di Domiziano, ed iniziarono le repressioni nei confronti dei senatori. Il regime autocratico imposto, non potendo reggersi con l’adesione dei ceti aristocratici tradizionali sul cui appoggio ideologico l’impero si era costituito, scivolò inevitabilmente verso l’imposizione del terrore.

L’opposizione dell’oligarchia senatoria si concretizzò una prima volta nella ribellione del legato di Germania, Antonio Saturnino (89), soffocata rapidamente a Magonza e seguita da vere e proprie stragi.

Alla fine dell’89 l’imperatore, ormai in preda ad un delirio di persecuzione e di sospetto verso tutto ciò che non rientrava nella sua rigida visione etico - religiosa, esiliò da Roma i filosofi stoici e i matematici. Il meccanismo della paura e delle delazioni raggiunse il culmine nel 94, e furono giustiziati alcuni dei grandi nomi dell’aristocrazia romana. Nel 95, ormai isolato, fece giustiziare il cugino Flavio Clemente e ne esiliò la moglie Domitilla, coinvolgendo nel sospetto ebrei e cristiani.



“Ad ogni modo, la situazione interna si faceva sempre più difficile. Domiziano poteva contare sulla devozione dei piccoli proprietari italiani. Ma l’opposizione era forte, nelle province e nel Senato…..sicché alla fine, egli finì col venire in odio al Senato e ai suoi personali amici nel medesimo tempo. Certo è che nel 95 Domiziano ha ritenuto di poter salvare la situazione infierendo proprio contro quei circoli di senza dei….. Così per compiacere i circoli senatorii più tradizionali, il dominus et deus Domiziano ha perseguitato proprio gli elementi di idee più moderne, che forse avrebbero potuto esprimere i motivi più originali della sua epoca; e ha scatenato quella sua famosa persecuzione contro i cristiani. L’anno seguente, il 18 settembre 96, Domiziano fu ucciso….. Due correnti diverse, ed anzi opposte, si erano dunque ritrovate nell’odio contro Domiziano; i tradizionalisti da una parte, i cristiani e giudei dall’altra. Un accordo strano; ma per quel momento, e ancora per qualche anno stabile…..” (S. Mazzarino).



L’aristocrazia, ormai in rotta insanabile con l’imperatore, rispose con una congiura nella quale era partecipe la stessa moglie Domitilla, e lo uccise il 18 settembre 96.

“Dalla prospettiva senatoria, pure Domiziano si meritò la damnazio memoriae, con la distruzione delle sue statue e la decapitazione delle teste delle stesse, per il clima oppressivo istaurato, le sue attitudini autocratiche degli ultimi anni e la tendenza ad esorbitanti cumuli di antiche e gloriose cariche”. (A. Cecconi).

“Come ebbe a ricordare Tacito dopo la caduta di Domiziano ‘principato e libertà, cose un tempo inconciliabili’poterono di nuovo coniugarsi in nuovo ordine di pace sociale e di rispetto per i costumi politici tradizionali: anticipato da Cocceio Nerva (di Narni), sarà questo un elemento centrale dell’ideologia dell’età antonina alla quale ci avviciniamo”. (A. Cecconi).

Un sogno di Domiziano stesso, quando era ancora in vita, fece presagire che alla sua morte sarebbe seguita un’epoca più felice: ciò che avvenne per opera dei principi successivi.

Secondo Luca Canali “è questa un’aperta piaggeria di Svetonio nei confronti dei suoi “padroni” Nerva, Traiano, Adriano. Ma l’elogio di questi imperatori ‘adottivi’ non è ingiustificato: essi governarono con saggezza e onestà”.

“In definitiva la dinastia Flavia, nonostante le contraddizioni, i punti oscuri repressivi e la regressione in fatto di designazione successiva, conserva parecchi meriti. Attuò il ricambio sociale al vertice dell’impero, accompagnato da un’opera di morigeratezza e moralizzazione; favorì l’integrazione provinciale e quindi il ricambio anche nel Senato; fece un deciso passo avanti nell’abbandono di una concezione privatistica dell’amministrazione verso un’idea più ‘burocratica’; favorì la cultura e le arti e non trascurò l’attività edilizia; stabilizzò situazioni incerte ai confini con le nuove annessioni minori in Oriente e l’importante provincializzazione della Germania; quindi la sistemazione delle difese ai confini in Occidente” (Pani - Todisco).

“Forse si è incorsi in qualche esagerazione sul conto di Domiziano. Anzitutto la morte di Tito era un vendetta, e Tacito steso ammette che Domiziano possedeva almeno le apparenze della virtù. Egli arrossiva per una parola. Questa delicatezza esteriore era forse accompagnata da qualche virtù morale”. (Jules Michelet).

Per concludere, Le Glay, Voisin Le Bohec scrivono: “ Dinastia in transizione quella dei Flavi? Per molto tempo li si è accostati ai Giulio-Claudii di cui erano il completamento noioso, ma indispensabile. Inoltre, chiusi tra un Nerone scintillante e un Traiano conquistatore, penalizzati dal buon senso un po’ grossolano che si è attribuito al primo di loro, non hanno suscitato ricerche.

Quest’epoca sembra passata. E ci si renda conto oggi che questa dinastia fu decisiva nella storia dell’impero: “ Io inclino a credere –dice R. Syme- che l’epoca degli Antonimi cominciò con Vespasiano”.

Con Domiziano termina la dinastia dei Flavi, iniziata con Vespasiano e proseguita con Tito. Una dinastia che nasce in Umbria, a Norcia, con Vespasia Polla. Poi sale al trono imperiale l’autorevole senatore narnese Cocceio Nerva a cui segue il grande Marco Ulpio Traiano, la cui famiglia era originaria di Todi.





Stefano Vinti









Bibiografia





1. Jules Michelet, Storia di Roma, Gherardo Casini Editore



2. Luca Canali, Le vite (indiscrete) di Dodici Cesari, Piemme Pocket



3. G.A. Cecconi, La Città e l’Impero, Caroci Editore



4. Pani, Todisco, Storia romana, Carocci Editore



5. E. Lo Cascio, Roma Imperiale, Carocci Editore



6. A. Ziolkovski, Storia di Roma, Bruno Mondatori



7. M. Grant, Gli Imperatori Romani, Newton Compton Editori



8. Wikipedia



9. Le Glay, Voisin, Le Bohec, Storia Romana, Il Mulino



10. S. Mazzarino, L’Impero Romano, Editori Laterza









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