giovedì 11 ottobre 2007

BAMBOCCIONI???

E’ LA MANCANZA DI UN REDDITO SICURO CHE IMPEDISCE AI GIOVANI DI ABBANDONARE LA FAMIGLIA. I DUE TERZI SONO AL DI SOTTO DEI 1.000 EURO MENSILI E QUASI UN TERZO NON ARRIVA AI 500 EURO.

Riferendosi ai tanti giovani italiani che, anche se maggiorenni, continuano a vivere in famiglia, il ministro dell’economia, Tommaso Padoa Schioppa, ha usato il poco felice termine di “bamboccioni” che conteneva implicitamente un rimprovero nei loro confronti, quasi che tale stato di fatto dipendesse più dalla loro pigrizia, o meglio ancora da un loro scarso spirito di indipendenza, che da ragioni oggettive. Ma così non è e la spiegazione corretta di questo fenomeno l’ha fornita questa mattina il presidente dell’Istat, Luigi Buggeri, nel corso di un’audizione sulla Finanziaria in Senato.

Le ragioni sono unicamente economiche: i giovani italiani continuano a vivere con i loro genitori per il semplice fatto che i loro redditi da lavoro non gli consentono di mettere su casa per proprio conto. Redditi che per i due terzi dei giovani italiani compresi nelle fascia d’età che va dai 23 ai 30 anni sono inferiori ai 1.000 euro mensili e che per quasi un terzo di loro non raggiunge neppure i 500 euro.

Si tratta di cifre che fanno riferimento al 2005, ma a lume di naso nel frattempo le cose non dovrebbero essere migliorate di molto, anzi.

E questa condizione di precarietà si riflette direttamente e pesantemente sulle loro famiglie impedendo anche ad esse l’accesso all’acquisto di un’abitazione: infatti, sempre Buggeri ha rilevato che, se a livello nazionale il 18,4% delle famiglie vive in affitto, questa percentuale sale assai, fino a raggiungere il 32,4%, per quelle che hanno a loro carico un giovane con meno di 30 anni di età, il che significa che, dovendo ancora sostenere un figlio che per età ed impegno lavorativo dovrebbe essere messo nella condizione di badare a se stesso e magari mettere su una propria famiglie, a milioni di madri e padri italiani è impedito di coronare il sogno di una vita: godere di un’abitazione di loro proprietà.

E si tratta di un fenomeno di massa, stando alle cifre fornite dal presidente dell’Istat secondo il quale sono circa 5,5 milioni, corrispondenti al 69,7% del totale, i giovani tra i 20 e i 30 anni che vivono in famiglia, mentre i coetanei che sono usciti da casa sono appena 2 milioni 432 mila, ovvero il 30,3%.

In Italia è esageratamente elevato il grado di precarietà che affligge le giovani generazioni alle quali vengono negate persino le più elementari certezze sulle quali potevano contare i loro genitori, come un’occupazione sicura ed un’altrettanto sicura pensione al termine della loro vita lavorativa.

Al di là, dunque, dei miglioramenti, assai parziali, che sono contenuti nell’accordo per il welfare, si pone la necessità non più rinviabile di costruire quella rete di protezione sociale a tutela del lavoro flessibile che oggi manca del tutto, per impedire nel concreto che questo si trasformi in precarietà stabile, ma ciò si potrà fare solo se - come sta scritto a chiare lettere nel programma dell’Unione – si cancelleranno i vantaggi fiscali che lo favoriscono e verranno creati alcuni ammortizzatori sociali fondamentali come una specifica indennità di disoccupazione che copra i periodi di mancato lavoro, l’unificazione delle casse integrazioni, l’estensione delle tutele a tutti i settori merceologici, la previsione di una indennità generalizzata per la maternità e la paternità, la copertura dei rischi di infortunio e di malattia. In altri termini, dobbiamo fare in modo che il lavoro a tempo indeterminato torni ad essere il lavoro tipicamente “normale” e che, al contrario, quello a termine rivesta esclusivamente il carattere della “eccezionalità” e della “temporaneità”.

Ma per ottenere tutto questo occorre prevedere sufficienti risorse economiche, ben maggiori di quelle che sono state stanziate nell’attuale Finanziaria, altrimenti non ci sarà possibile recuperare in un termine di tempo accettabile il ritardo che ci separa dai Paesi Nord-europei dove per la spesa sociale si investe ogni anno 7 volte più che da noi.

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