LA REGIONE INFORMI SUI RAPPORTI CON LA “COMUNITA’ INCONTRO”
LA REGIONE INFORMI SUI RAPPORTI CON LA “COMUNITA’ INCONTRO”
Per ragionare sulla vicenda Don Gelmini è necessario avere prioritariamente saldi due principi: il primo è la presunzione di innocenza, per chiunque, che è un principio costituzionale e un fondamento dello stato di diritto; il secondo, è che non si possono contestare a priori le accuse degli ex ospiti della comunità in quanto non credibili, considerati incapaci di intendere e di volere (ma non godono di tutti i diritti civili e politici?) o capaci solo di mentire, vendicarsi e odiare.
Prescindendo da questi due principi, la destra cattolica e sanfedista – fascisti ed ex fascisti, conservatori e perbenisti di tutte le gradazioni, insomma tutti coloro che hanno fatto della lotta alla droga una bandiera ideologica contro il presunto permissivismo laico- ha reagito alle indagini nei confronti di Don Gelmini per presunti abusi sessuali, con una violenza che ha dell’incredibile.
Si capisce che per alcuni “lor signori”, pizzicati in atteggiamenti opposti alla proclamata pratica del proibizionismo più intransigente, si mette in evidenza l’inconsistenza morale di un’etica basata sull’ipocrisia, ma a tutto c’è un limite!
La vicenda ci offre comunque la possibilità di chiarire in modo trasparente due questioni:
1. i rapporti tra la Regione dell’Umbria e la comunità di Don Gelmini (finanziamenti, relazioni con il sistema sanitario regionale, tipo e quantità dei controlli, livello di salvaguardia della dignità e della salute degli utenti, risultati effettivi raggiunti) sui quali l’assessore alla sanità dovrebbe fornire tutte le informazioni necessarie;
2. finalmente capire quali rapporti di potere, di sudditanza psicologica si instaurano nelle comunità chiuse, fondate sul carisma autoritario e la “cristoterapia”.
Le accuse di cui è oggetto Don Gelmini saranno vagliate dalla magistratura, alla quale occorre dare fiducia e non sottoporla a indebite pressioni mediatiche. Ma Don Gelmini è comunque responsabile del sostegno politico e culturale che ha assicurato al proibizionismo e alle leggi repressive che hanno allargato la piaga della dipendenza da sostanze nocive, di aver sostenuto la legge Fini-Giovanardi che ha solo ulteriormente radicato il mercato delle sostanze, ed è colpevole, questo sì, di autoritarismo, razzismo e intolleranza.
Per le tossicodipendenze non servono né il carcere, né i ricoveri coatti. Alla tolleranza zero bisogna opporre una strategia dell’accoglienza sociale per la persona e le famiglie che vivono il dramma della droga, ad iniziare dalla decriminalizzazione delle condotte di vita legate al consumo. C’è necessità, piuttosto, di un forte contrasto dei traffici e di tolleranza zero nei confronti dei trafficanti.
Doppiamo potenziare il ruolo dei SERT e dei servizi territoriali, le comunità terapeutiche debbono essere messe in rete con il servizio pubblico, vanno sostenuti quanti da anni sono impegnati a costruire percorsi personalizzati, e perciò efficaci, di prevenzione, cura e riabilitazione, considerando la strategia della “riduzione del danno” come parte integrante della rete dei servizi.
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