CRESCE LECONOMIA E CRESCE IL DISAGIO. APPENA L1,1% DEL PIL NAZIONALE E DESTINATO ALLA RICERCA (IN UMBRIA LO 0,8%) E PER OLTRE LA META SI TRATTA DI RISORSE PUBBLICHE. ANCHE LE IMPRESE PRIVATE DEBBONO QUINDI FARE LA LORO PARTE. SPENDERE IL TESORETTO PER COMBATTERE GLI SQUILIBRI.
Nel commentare i contenuti del rapporto Istat sullo stato del Paese nel 2006, un importante quotidiano nazionale ha così efficacemente titolato: La ripresa cè, ma cresce il disagio.
Lo sforzo prodotto per riallineare il nostro Paese allEuropa, dopo che per tutto il quinquennio berlusconiano aveva perso terreno fino a raggiungere il record negativo della crescita zero, è servito per invertire la tendenza negativa dello sviluppo, ma non ha ancora reso giustizia agli strati sociali che più hanno pagato quel degrado. Una crescita che non ci colloca ancora al livello dei Paesi che corrono più di noi (il differenziale si è comunque dimezzato, era di due punti nel 2005 è sceso ad uno nel 2006), per agganciare i quali è quanto mai urgente aumentare il nostro impegno nel campo della ricerca. Compito al quale sono chiamate a concorrere maggiormente le imprese che anche negli anni delle vacche magre hanno continuato a mietere guadagni, come è avvenuto anche in Umbria, stando ai dati del Ministero delle Finanze secondo i quali l82,5% delle nostre aziende ha chiuso con un utile lesercizio 2004.
Basti considerare che sempre nel 2004 appena l1,1% del pil nazionale veniva impiegato a tale scopo, con lUmbria che si poneva decisamente al di sotto di questo standard, con lo 0,8%. Si consideri anche che più della metà delle risorse complessivamente destinate alla ricerca in Italia, corrispondenti allo 0,6 del pil, era però di provenienza pubblica (pubblica amministrazione ed Università).
Questa scarsa partecipazione delle imprese alla spesa complessivamente sostenuta al riguardo dal Paese non ci aiuta a superare i forti ritardi che scontiamo in termini di competitività sui mercati internazionali, dove ci presentiamo con produzioni a basso contenuto tecnologico. Lincidenza delle attività manifatturiere nella produzione industriale italiana ed umbra è ancora fortemente prevalente e questo ci sottopone alla concorrenza forte dei Paesi emergenti, le cui economie si sviluppano rapidamente potendo contare su un costo bassissimo della manodopera.
Invece, fatto del tutto incomprensibile, Confindustria, si limita a reclamare ancora maggiore attenzione da parte dello Stato nellintento di mettere le mani sulla parte preponderante del tesoretto derivante dal surplus fiscale messo da parte dal governo: noi, al contrario, continuiamo a sostenere che è giunta lora di avviare la fase del risarcimento sociale a vantaggio dei ceti sociali che niente hanno avuto, ma anzi hanno pagato sulla loro pelle la ripresa che infine è arrivata. Per cui concordiamo pienamente con lindicazione che finalmente è venuta per un maggiore impegno pubblico nel settore delle abitazioni, per aumentare le pensioni più basse, per sostenere loccupazione giovanile superando i limiti della precarietà, anche al fine di assicurare ai neo assunti prospettive previdenziali certe, per incrementare i presidi sociali e sanitari, e via elencando.
Questo anche perché condividiamo con altrettanta convinzione laltra indicazione contenuta nel rapporto Istat, secondo la quale la ripresa non va sostenuta solo dando impulso agli investimenti, ma anche destinando più risorse da spendere alle famiglie, una su sei delle quali stenta ad arrivare alla fine del mese, con 4 milioni di anziani che sono costretti a sopravvivere con pensioni inferiori ai 500 euro mensili.
Nulla esclude che la parte restante, quella destinata a sostenere la ripresa, possa essere destinata, se non intermante, almeno prevalentemente alla ricerca.
sabato 26 maggio 2007
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