mercoledì 29 novembre 2006

ANCHE PER BANKITALIA SIAMO MALATI DI PRECARIETA’: ANZI C’E’ UNA NUOVA SCHIAVITU’

“Il mercato del lavoro in Italia è tornato indietro di 150 anni. Troppa flessibilità, libertà di licenziare, contributi esigui, ferie, malattia e maternità non pagate: siamo si fronte ormai a forme di neo-schiavitù, soprattutto per i giovani.

Centinaia di migliaia di ragazzi entrano nel mercato del lavoro in condizioni da ferriere ottocentesche”: parole durissime, che marchiano a fuoco la precarietà che ha invaso il nostro Paese, in particolare dopo l’approvazione della Legge 30, pronunciate non da chi ce l’aspetteremmo, ovvero da quei pericolosi sovversivi e populisti che sono il segretario nazionale di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, o il leader della Fiom, Gianni Rinaldini, che tanto si sa che ce l’hanno con il capitalismo, bensì da un insospettabile economista, studioso di storia, laureato in matematica ed autore di vari libri, tutti dai toni moderati, che attualmente ricopre un incarico di prestigio niente di meno che in Bankitalia.

Si tratta del professor Salvatore Rossi, uno dei santoni dell’economia borghese, che in Bankitalia è direttore nientemeno che dell’ufficio studi e che questa frase l’ha pronunciata in occasione della presentazione di un libro di economia.

Non pago di ciò, e temendo forse di non essere stato sufficientemente chiaro, il professor Rossi ha anche aggiunto: “Dopo il periodo della moderazione salariale (1992-1995) nel nostro paese ci sono state massicce iniezioni di flessibilità in entrata. E’ stato come infilare una siringa in una gamba, con un laccio emostatico per bloccare la risalita del sangue: ma se si continua a spingere nella siringa, alla fine la gamba cade”.

Non sorprenderà certo nessuno se ci dichiariamo perfettamente d’accordo con le cose dette dal professor Rossi, visto che, se non certo con la medesima efficacia espressiva, si tratta di concetti che anche noi ripetiamo da tempo, ovvero che l’Italia è malata di precarietà e che questo male va estirpato al più presto prima che il corpo sano del Paese finisca per incancrenirsi.

Con buona pace di chi, anche nelle file del centro sinistra, teorizzava già negli anno ‘90 la flessibilità nel lavoro quale strumento per rendere l’Italia più moderna. Ricordate quanti pontificavano in tv avvertendoci che ci saremmo dovuti scordare l’ormai superato concetto di posto fisso per prepararci ad un futuro di continuo aggiornamento professionale, così da farci trovare pronti ad acchiappare al volo le tante e mirabili occasioni di lavoro che ci sarebbero piovute addosso?

Sono gli stessi che, confezionando il famoso “pacchetto Treu”, hanno di fatto spianato la strada alla precarietà in Italia e che, stando ancor oggi sui banchi del governo, non hanno smesso di cantare la loro ossessiva cantilena invocando questa volta l’avvio di una “fase due” incentrata sulle liberalizzazioni, sulle privatizzazioni e sulle riforme, prima fra le quali quella delle pensioni.

Hanno ripreso, insomma, a cantare l’inno di Confindustria, che vorrebbe rendere più competitive le nostre imprese facendo lavorare di più gli operai e pagandoli di meno. Secondo noi c’è invece bisogno di qualcuno che sfili quella siringa dalla gamba e questi non può essere altri che il governo voluto del popolo dell’Unione.

Come fare? La soluzione è semplice: va invertita la tendenza allo spostamento della ricchezza e dei diritti dei lavoratori a vantaggio della competitività delle imprese, che non ha prodotto i frutti che ci avevano promesso, per ridistribuire piuttosto la ricchezza in favore di chi ha meno.

Occorre in altre parole rovesciare la legge Biagi ed il colmo è che ciò va fatto al più presto, non per compiacere noi, che ci siamo sempre battuti contro, ma per dare retta agli studi di Bankitalia.

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