venerdì 22 settembre 2006

ALL’IPERLIBERISMO ALL’AMERICANA PREFERIAMO IL NOSTRO WELFARE. NO AD UNA FINANZIARIA DI “TAGLI” E “SACRIFICI”

Che direste se in Italia chi guadagna meno di 15.000 euro all’anno fosse obbligato a pagare il 2% in più per acquistare un’auto a rate rispetto a chi ha un reddito maggiore? E se la medesima cosa gli accadesse per assicurare quell’ipotetica vettura, od ancora il mutuo della casa gli costasse un 1% in più ed in aggiunta dovesse pagare 700 euro un televisore acquistato a rate e che tutt’al più ne vale 200, od ancora versare un deposito maggiore per un telefono?

Fantasie? Tutt’altro, si tratta di fatti quotidiani negli Stati Unitì d’America, tant’è che se n’è occupato proprio in questi giorni niente meno che l’ex Presidente Bill Clinton, che ne ha fatto però più una questione da affrontare e risolvere con la beneficenza, piuttosto che attraverso una profonda revisione dello stato sociale.

Il fatto è che, come ha denunciato con forza la sociologa americana Barbara Herenreich, che la situazione di indigenza l’ha sperimentata sulla propria pelle per oltre due anni, strappando le sue carte di credito e girando gli States mantenendosi con lavori precari, nella grande democrazia nordamericana è ben più costoso essere poveri che benestanti.

La qual cosa la si deve al fatto che nella patria del liberismo più spinto vengono applicate in maniera ossessiva le regole del mercato in base alle quali ciascun cittadino è valutato in relazione alla sua solidità economica. E quelli che abbiamo citato sono solo alcuni fra i più macroscopici esempi del dramma sociale che può determinare l’applicazione alla lettera del dogma “ognuno provveda per sé” che comporta la privatizzazione ad oltranza di tutti i servizi sociali, perché altre sciagure perseguitano i poveri Usa, ed in quel Paese del Bengodi povero è chi ha un reddito annuo al di sotto dei 30 mila dollari.

Ad esempio non possono permettersi neppure un conto bancario, perché gli istituti di credito concedono questo privilegio solo a chi offre loro solide garanzie di solvibilità, per cui quando un lavoratore povero deve cambiare gli assegni con i quali è stato retribuito, è costretto a versare un obolo che assomma mediamente a 5 dollari per ogni 500 ottenuti in cambio. Ed in non pochi casi non dispone neppure della somma necessaria per versare sull’unghia la cauzione richiestagli per l’affitto di un alloggio, per cui, se non vuol dormire in mezzo ad una strada, dovrà pagare 40 dollari per ogni notte trascorsa in un Motel.

Ma la perla dell’intero sistema americano è rappresentata dall’assicurazione medica che è costosissima, tant’è che si contano circa 40-50 milioni di statunitensi che non se la possono permettere, così che se un lavoratore che ne è sprovvisto si ritrova con un figlio febbricitante, anziché chiamare un medico al suo capezzale per farlo curare, come si fa normalmente da noi, grazie al tanto vituperato sistema sanitario nazionale che in tanti vorrebbero smantellare, e con esso l’intero “Stato sociale” che ci protegge, sarà costretto a portarlo in un pronto soccorso che non è, come si potrebbe pensare, un servizio sociale gratuito per gli indigenti, visto che per il costo di una visita generica non bastano mille dollari e per una visita pediatrica si paga anche dieci volte tanto. Se, poi, per mancanza di mezzi, si trascura l’ipertensione o il diabete, od un altro disturbo, alla fine, quando proprio non è più possibile sfuggire alla cura, si rischia un conto da centomila dollari.

La conclusione è che, visto da vicino, il modello di vita americano non ci affascina proprio, segnando il fallimento innegabile, sul piano sociale, di quelle teorie iperliberiste che acriticamente si vorrebbero applicare anche nel nostro Paese, iniziando, magari, con una Finanziaria fatta unicamente di “tagli” e “sacrifici”.

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