lunedì 28 agosto 2006

STAGE: UNA FORMA SEMPRE PIU’ ABUSATA PER SFRUTTARE IL LAVORO DEI NEO LAUREATI CHE, SE ASSUNTI, SEBBONO POI ACCONTENTARSI DI STIPENDI DI FAME

Che un lavoro sicuro e normalmente retribuito stia diventando sempre più una chimera per i giovani, ancor più se laureati, ce lo assicura ora anche il Gipd (Gruppo intersettoriale direttori del personale, ovvero un’istituzione che su questo aspetto conta dati di prima mano e non certo sospetti.

Infatti, secondo la Sesta indagine in materia condotta dal Gipd e da pochissimo resa nota, si ha che ormai più del 60% dei giovani neo laureati che si rivolgono ad una qualsiasi azienda per essere assunti, ottengono come risposta l’offerta di uno stage o di un tirocinio. Insomma, per la gran parte di questi ragazzi il sospirato rapporto di lavoro, per raggiungere il quale hanno tanto studiato, si concretizza in un legame assai fragile e mutevole, comunque sempre in discussione per la possibilità che i datori di lavoro hanno di troncarlo in qualsiasi momento.

Le aziende si giustificano sostenendo che si tratta di una forma che garantisce loro di provare le capacità e la disponibilità del candidato in vista di una possibile assunzione, ma la maggioranza di chi ci è passato sostiene che in effetti più che di un periodo di formazione si è trattato di un’esperienza da “tappabuchi”, per la sostituzione temporanea di dipendenti momentaneamente non disponibili, se non per l’espletamento di attività che non accrescono di un nulla il livello di formazione professionale, come la fotocopiatura di documenti od altro ancora.

Una furbata, dunque, per aggirare le leggi sull’impiego e gli oneri che ad esse sono connessi. Una turbata alla quale fa ricorso ormai il 10% circa delle aziende italiane, soprattutto quelle di più grandi dimensioni.
Quest’ultimo dato ci viene da un’altra fonte ugualmente non sospetta, qual è l’Unioncamere.

E la ragione di tutto ciò è facilmente intuibile: se queste aziende dovessero assumere giovani laureati anche a termine, dovrebbero comunque corrispondere loro un regolare stipendio, secondo il contratto di lavoro della categoria, oltre che sostenere gli oneri per i contributi di previdenza e di assistenza sanitaria e per il trattamento di fine rapporto. Ricorrendo allo stage se la cavano, nel peggiore dei casi, erogando loro un compenso mensile attorno ai 500 euro (ma il più delle volte il lavoro viene svolto in maniera del tutto gratuita) ed i buoni mensa, aggiungendo un’assicurazione contro gli infortuni. Come vi vede la differenza c’è ed è sostanziale.

Infine, per la minoranza di fortunati che al termine dello stage ce la fanno ad essere assunti, è questo non avviene quasi mai nelle aziende di più piccole dimensioni, si prospetta un futuro non certamente da scialo: il 60% di loro dovrà accontentarsi di uno stipendio annuo inferiore ai 15 mila euro ed appena il 2% supererà i 25 mila (i dati sono sempre di fonte Gidp).

Anche per questo urge, dunque, una riforma che ponga fine all’attuale jungla, incontrollata ed incontrollabile, dei rapporti di lavoro che producono precarietà e sfruttamento, per fare sì che la formula dello “stage” torni a svolgere la funzione per la quale era stata pensata, ovvero una maniera trasparente e garantita per mettere in contatto diretto le aziende con i giovani neolaureati in cerca di lavoro.

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