martedì 22 agosto 2006

ANCHE IN UMBRIA TROPPI “FURBI” EVADONO LE TASSE: LA NOSTRA REGIONE ALLINEATA AL DATO NAZIONALE

Finalmente parole e numeri chiari sul fenomeno tutto italiano dell’evasione fiscale. Il merito va al Ministero dell’Economia che ha sciorinato davanti ai nostri occhi una realtà che è ancora più brutta di quanto la si potesse immaginare: nel 2003, l’anno di mezzo del governo Berlusconi, allorché andava prendendo corpo quella riforma fiscale che avrebbe premiato i ceti sociali più abbienti, solo con le denunce Irpef sono stati sottratti al nostro fisco 311 miliardi di euro, pari all’incirca al 25% del Pil nazionale.

Se consideriamo l’entità della prossima Finanziaria d’autunno, che dovrebbe aggirarsi attorno ai 38 miliardi di euro, e se consideriamo anche che da allora ad oggi il fenomeno non è certo diminuito, vuol dire che anche se recuperassimo solo il 10% di questo “furto” commesso ai danni dei contribuenti onesti, avremmo la strada facilitata per rimettere in sesto i conti pubblici lasciatici in eredita dal “creativo” Tremonti. Il tutto senza gravare minimamente sui soliti noti e, soprattutto, senza pericolosi tagli alla spesa sociale. Se poi, il governo Prodi riuscisse nell’impresa non impossibile di mettere insieme qualcosa come 40-50 miliardi di euro in più ogni anno, ce ne sarebbe d’avanzo anche per finanziare lo sviluppo del Paese, sostenendo le imprese che creano lavoro e, la cosa non guasta, anche le famiglie a più basso reddito.

Nel vasto mare di cifre comunicate dallo stesso Ministero, due, per la stessa ragione entrambe scandalose, ci colpiscono particolarmente. La prima si riferisce ai 55 mila “Paperoni” che hanno ammesso un reddito annuo superiore ai 200 mila euro, corrispondenti alla miserrima percentuale dello 0,14% sul totale.

Basterebbe, per sbugiardare i troppi impenitenti mentitori, uno sbrigativo censimento delle ville extralarge, delle fuoriserie o delle “barchette” di lusso che circolano lungo lo stivale od attorno ad esso. Ben venga, perciò, la riorganizzazione promessa del fisco, per renderlo più attento ai fatti concreti, incrociando i dati che riguardano il singolo contribuente, piuttosto che ad una considerazione generica delle varie categorie.

L’altro dato scandaloso è, di converso, quello degli oltre 10 milioni di italiani che si dipingono come indigenti: uno su 4 di questi, quindi all’incirca 2 milioni e mezzo, ha denunciato addirittura un reddito mensile di appena 500 euro. E lo scandalo non sta nel fatto che ci sarebbe in Italia tanta miseria, quanto nel fatto che, come è ormai chiaramente documentato, una parte consistente di questa indigenza è del tutto fasulla: basti considerare che la massa di 2 milioni e mezzo di imprenditori e professionisti italiani, fra i quali quasi spariscono i 55 mila “Paperoni” di poc’anzi, si colloca nella fascia di reddito compresa fra 0 e 40 mila euro annui.

Un esercito di quasi accattoni al quale si associano gli altri milioni di lavoratori autonomi (idraulici, falegnami, tappezzieri, titolari di lavanderie, mercerie e profumerie, tassisti, ecc.) che ugualmente piangono miseria. Che poi i dentisti italiani denuncino mediamente redditi (42.582 euro) inferiori per oltre un terzo minori a quelli dei farmacisti (135.631 euro), per i quali fanno fede gli scontrini fiscali, è un insulto all’intelligenza di tutti noi, un chiaro segnale di omesse fatturazioni che ci fanno gridare di sdegno, fino a mettere in serio pericolo la stabilità dei preziosi “ponti” che ci consentono di masticare ancora agevolmente. E non è che gli avvocati ed i commercialisti siano da meno.

Quanto all’Umbria, i dati che riguardano la nostra regione non si discostano troppo da quelli nazionali. Certo i nostri redditi non reggono il confronto con quelli delle regioni economicamente più evolute del Nord Italia, anzi siamo ancora al di sotto della media nazionale, ma se non altro il numero dei nostri super ricchi, calcolato sui redditi denunciati per il 2003 (880), ha registrato un incremento rispetto all’anno precedente (750).

Di contro è però cresciuto anche il numero degli indigenti che rappresenterebbero in Umbria addirittura il 12% del totale, con oltre 3 mila contribuenti che hanno dichiarato addirittura un saldo negativo e ci vuol poco per capire che non si tratta di gente che lavora “a padrone”. Del resto avevano davanti agli occhi esempi illustri a cui ispirarsi, se è vero come è vero che ha fatto altrettanto il 50% delle grandi società di capitali italiane dichiarando per più anni di seguito redditi negativi o pari allo zero.

In sostanza, sia in Umbria che in Italia, la grande massa di contribuenti si è collocata nella fascia di reddito che va dai 12.500 ai 25.000 euro annui, che è poi quella formata principalmente dalla grande massa dei lavoratori dipendenti che rappresentano il 36,3% del totale, sia nazionale che regionale. Per questi non c’è nessuna possibilità di evadere il fisco e soprattutto per loro deve valere il principio di equità che ispira l’attuale governo, secondo il quale tutti dovremmo pagare, per pagare meno.

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