TASSE, IL CAPOLAVORO DI BERLUSCONI
TASSE, IL CAPOLAVORO DI BERLUSCONI: HA SPREMUTO AL MASSIMO IL LAVORO LASCIANDOCI IN DOTE UN CARICO FISCALE FRA I PIU ALTI IN EUROPA. OK AL TAGLIO DEL CUNEO FISCALE
Lesatta fotografia del regime fiscale in auge nel nostro Paese, al termine dellesperienza di governo del cavalier Berlusconi, ci viene da Eurostat, listituto statistico dellUnione Europea, che smentisce le bugie elettorali con le quali ci volevano dipingere lItalia come un vero e proprio paradiso fiscale, ipotizzando invece foschi scenari qualora avesse vinto la coalizione di centro sinistra.
Lesatta fotografia del regime fiscale in auge nel nostro Paese, al termine dellesperienza di governo del cavalier Berlusconi, ci viene da Eurostat, listituto statistico dellUnione Europea, che smentisce le bugie elettorali con le quali ci volevano dipingere lItalia come un vero e proprio paradiso fiscale, ipotizzando invece foschi scenari qualora avesse vinto la coalizione di centro sinistra.
Il dato fondamentale fornitoci da Eurostat riguarda il carico fiscale italiano che a fine 2004 era pari al 40,6% del Pil, oltre un punto in più rispetto alla media dellEuropa a 25 (39,3%) ed un punto scarso oltre quello della più ristretta area euro (39,7%). Ma cè di più, perché il 40,6% del 2004 è anche superiore al 40,1% che il nostro Paese vantava nel lontano 1995. A distanza di un decennio, dunque, la nostra situazione è peggiorata e ciò spiega in parte anche le difficoltà incontrate in questi anni dalla nostra economia, tanto più considerato che è sul fattore lavoro che si accanisce in particolare il nostro fisco.
Per la verità, la tassazione sul lavoro costituisce per volume la principale fonte dentrata per tutti i Paesi Ue, ma da noi si è per davvero esagerato, con un imposizione fiscale e contributiva che in questo comparto ha complessivamente raggiunto il 42%, contro il 37,9% che avevamo nel 1995. In tal caso, ed è un eccezione visto che in lItalia figura costantemente nella parte bassa delle classifiche continentali quando si parla di ricchezza e di benessere, ci collochiamo al di sopra della media dellarea euro (36,6%) di oltre 5 punti, per non parlare poi dellEuropa a 25, che include anche i Paesi Ue che ancora non hanno adottato la moneta unica (35,9%). Siamo al quarto posto fra i 25: sopra di noi stanno solo il Regno Unito (45,9%), il Belgio (43%) e la Francia (42,4%).
Interessante notare che nei due Paesi europei che negli anni più recenti hanno fatto registrare le migliori performances economiche, lIrlanda e la Spagna, questo tipo di imposizione è ferma ben sotto la media continentale, risultando rispettivamente al 26,3 e al 29,4%, per cui, chiunque voglia ragionare seriamente in merito, non potrà non rilevare come questa lungimirante scelta di carattere fiscale si sia riflessa positivamente sullandamento di quelle economie nazionali. Ma non solo, perché dovrebbe anche ammettere che da una bassa tassazione sul lavoro hanno da guadagnare anche i lavoratori, atteso che, sempre in Irlanda e in Spagna, le retribuzioni sono cresciute considerevolmente in questi anni, in termini assoluti, ma anche e soprattutto in termini di potere dacquisto, diversamente da quelle italiane che sono restate invece al palo, anche per leffetto perverso che è seguito alla cancellazione della scala mobile.
Il risultato è che per valore delle retribuzioni tanto lIrlanda che la Spagna hanno da tempo superato lItalia, mentre fino ad un decennio fa le stavano abbondantemente al di sotto. In quale misura ce lo dice lOcse, secondo la quale il potere dacquisto annuo, al netto dellinflazione, è da noi mediamente di 16.242 euro, contro i 21.111 euro degli irlandesi e i 16.720 euro degli spagnoli.
Più che opportuna, dunque, la proposta lanciata dallUnione, nel corso della campagna elettorale, di ridurre di 5 punti nel primo anno di governo il cuneo fiscale che grava sul lavoro, misura che andrà a beneficio tanto delle imprese, che vedranno alleggerire il gap che le ostacola in termini di competitività sui mercati internazionali, che dei nostri lavoratori, i cui livelli retributivi sono stati fortemente erosi dallinflazione.
Dove risultiamo invece più virtuosi rispetto ai nostri partner europei è sullaliquota di tassazione massima applicata ai redditi delle persone fisiche (leggi Irpef), che da noi è del 43%, contro una media del 45,2% nellintera euro zona. Segno evidente che più che al comparto produttivo nazionale (imprese e lavoratori), lamorosa attenzione di Berlusconi si è rivolta ai singoli possessori di redditi elevati. E fortuna vuole che non sia riuscito a scendere a due sole aliquote come si era ripromesso di fare.
Per la verità, la tassazione sul lavoro costituisce per volume la principale fonte dentrata per tutti i Paesi Ue, ma da noi si è per davvero esagerato, con un imposizione fiscale e contributiva che in questo comparto ha complessivamente raggiunto il 42%, contro il 37,9% che avevamo nel 1995. In tal caso, ed è un eccezione visto che in lItalia figura costantemente nella parte bassa delle classifiche continentali quando si parla di ricchezza e di benessere, ci collochiamo al di sopra della media dellarea euro (36,6%) di oltre 5 punti, per non parlare poi dellEuropa a 25, che include anche i Paesi Ue che ancora non hanno adottato la moneta unica (35,9%). Siamo al quarto posto fra i 25: sopra di noi stanno solo il Regno Unito (45,9%), il Belgio (43%) e la Francia (42,4%).
Interessante notare che nei due Paesi europei che negli anni più recenti hanno fatto registrare le migliori performances economiche, lIrlanda e la Spagna, questo tipo di imposizione è ferma ben sotto la media continentale, risultando rispettivamente al 26,3 e al 29,4%, per cui, chiunque voglia ragionare seriamente in merito, non potrà non rilevare come questa lungimirante scelta di carattere fiscale si sia riflessa positivamente sullandamento di quelle economie nazionali. Ma non solo, perché dovrebbe anche ammettere che da una bassa tassazione sul lavoro hanno da guadagnare anche i lavoratori, atteso che, sempre in Irlanda e in Spagna, le retribuzioni sono cresciute considerevolmente in questi anni, in termini assoluti, ma anche e soprattutto in termini di potere dacquisto, diversamente da quelle italiane che sono restate invece al palo, anche per leffetto perverso che è seguito alla cancellazione della scala mobile.
Il risultato è che per valore delle retribuzioni tanto lIrlanda che la Spagna hanno da tempo superato lItalia, mentre fino ad un decennio fa le stavano abbondantemente al di sotto. In quale misura ce lo dice lOcse, secondo la quale il potere dacquisto annuo, al netto dellinflazione, è da noi mediamente di 16.242 euro, contro i 21.111 euro degli irlandesi e i 16.720 euro degli spagnoli.
Più che opportuna, dunque, la proposta lanciata dallUnione, nel corso della campagna elettorale, di ridurre di 5 punti nel primo anno di governo il cuneo fiscale che grava sul lavoro, misura che andrà a beneficio tanto delle imprese, che vedranno alleggerire il gap che le ostacola in termini di competitività sui mercati internazionali, che dei nostri lavoratori, i cui livelli retributivi sono stati fortemente erosi dallinflazione.
Dove risultiamo invece più virtuosi rispetto ai nostri partner europei è sullaliquota di tassazione massima applicata ai redditi delle persone fisiche (leggi Irpef), che da noi è del 43%, contro una media del 45,2% nellintera euro zona. Segno evidente che più che al comparto produttivo nazionale (imprese e lavoratori), lamorosa attenzione di Berlusconi si è rivolta ai singoli possessori di redditi elevati. E fortuna vuole che non sia riuscito a scendere a due sole aliquote come si era ripromesso di fare.
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