venerdì 12 maggio 2006

PER COLPA DEL GOVERNO DELLE DESTRA, L’ITALIA PERDE ANCORA IN COMPETITIVITA’ E SI IMPOVERISCE. VENGA DAL GOVERNO PRODI UNA NETTA INVERSIONE DI ROTTA

L’Italia continua a precipitare nella classifica mondiale della competitività: lo scorso anno figurava al 53° posto nella speciale graduatoria stilata dall’Idm, l’Università di Losanna, quest’anno è passata al 56°, sorpassata anche da Bulgaria, Argentina e Messico. In 15 anni (eravamo al 27° posto) il nostro Paese ha percorso il cammino del gambero, scendendo di ben 29 posizioni, ma è soprattutto nel quinquennio berlusconiano che questa accelerazione si è fatta impressionante, proprio mentre emergevano i grandi d’Asia: Cina e India in testa.


Basti infatti considerare che durante il quinquennio dei governi di centrosinistra, più precisamente nel periodo che va dal 1997 al 1999, coincidente con l’ingresso nell’euro, il nostro Paese, in virtù anche delle riforme economiche che furono avviate all’epoca, si era reso protagonista di un piccolo boom, risalendo dal 39° al 30° posto. Poi è seguito il disastro, con la svolta impressa dal fantasioso ministro Tremonti, che ha abbandonato la strada del rigore dilapidando in un batter d’occhio il patrimonio di credibilità e di prestigio che eravamo riusciti a guadagnarci. Si deve a ciò se ci siamo presentati del tutto impreparati alla grande sfida che ci attendeva sui mercati internazionali, con le imprese del bel Paese sempre più arrancanti ed incapaci, soprattutto a causa dei bassi contenuti tecnologici delle nostre produzioni, di reggere alla spietata concorrenza fattaci dai Paesi emergenti che hanno puntato le loro chances sul basto costo della manodopera. Il tutto è stato poi aggravato - sostengono i cosiddetti “manager globali” - dalla mancanza di adeguate infrastrutture.

Inoltre, quello italiano è stato giudicato il terzo peggior sistema Paese, dopo Venezuela ed Argentina, esito risultante dalla differenza fra l’andamento dell’economia, che ci colloca nella 50^ posizione, e l’efficienza del governo, che ci vede invece nella 69^. Con buona pace del presidente manager che si era impegnato a farci diventare tutti più ricchi.

E che si tratti di una crisi complessiva del sistema Italia ce lo conferma il dato, altrettanto pessimo, della Lombardia, misurata dall’Idm a se stante quale area più avanzata del Paese, che ha perso da parte sua 9 posizioni.

Non lo si deve dunque al caso se nello stesso arco di tempo la Cina sia riuscita a salire al 19° posto fra i Paesi dove è più conveniente fare affari, mentre l’India figura al 29°, potendo contare entrambe le due emergenti potenze asiatiche su ritmi di crescita impressionanti al cospetto dei nostri.

Tra gli elementi che hanno più appesantito il nostro grado di competitività, l’indagine rileva infatti quello della insufficiente crescita economica dell’Italia, contrassegnata da ritmi di incremento annuali inferiori all’1%, fino scendere lo scorso anno addirittura ad uno sconfortante stato di stagnazione economica. Altri limiti sono stati poi individuati nelle ridotte dimensioni delle nostre imprese, che ne ostacolano la specializzazione, oltre che la propensione alla ricerca.

In definitiva nella classifica Idm si assegna una particolare rilevanza al rapporto fra crescita ed efficienza dell’amministrazione, fattori entrambi carenti nel nostro Paese, giungendo alla conclusione che in alcune situazioni, compresa la nostra, i governi si sono comportati come vere e proprie palle al piede che ne hanno impedito l’aggancio al trend della ripresa economica mondiale, con pesanti ripercussioni negative sul benessere delle loro popolazioni. Dovrà essere dunque compito del nuovo governo dell’Unione determinare una decisa svolta in questo senso, proponendo politiche di rilancio che, oltre ad assicurare alle imprese un terreno più fertile sul quale svilupparsi (liberando risorse per rafforzare una rete compatibile di infrastrutture, rilanciando la ricerca e la formazione professionale, combattendo al tempo stesso ogni forma di precariato ed incoraggiando le aggregazioni, ecc.), consentano anche una equa redistribuzione del reddito a vantaggio dei lavoratori e dei pensionati, categorie che più delle altre hanno pagato le inefficienze del governo delle destre.

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