lunedì 13 marzo 2006

PRECARIATO: GLI STAGISTI

LAVORO: SONO GLI “STAGISTI” I PIU’ PRECARI. LA SPECULAZIONE VERGOGNOSA DI CHI LI CONDANNA A LAVORARE GRATUITAMENTE E DI CHI GUADAGNA SULLA LORO FORMAZIONE

La “rivolta” nelle Università francesi segnala l’allarme che si è diffuso fra gli “stagisti” d’oltralpe riguardo al loro futuro: temono che questa loro condizione di precarietà possa trascinarsi all’infinito, che anche da loro possa prendere piede quel fenomeno che da noi è in voga già da tempo, per cui centinaia di migliaia di giovani, e non più giovani, sono condannati a lavorare gratuitamente per un tempo infinito.


Ci riferiamo ai cosiddetti “tirocini formativi” introdotti nel nome di quella benedetta “flessibilità” che avrebbe dovuto favorire l’ingresso nel mondo del lavoro di chi un lavoro non ce l’ha: uno strumento che è stato invece cinicamente utilizzato da molti imprenditori per procacciarsi manodopera a costo zero, con la scusa di insegnare un mestiere. Nelle realtà molti di questi “stagisti”, gran parte dei quali diplomati o laureati, sono stati impiegati nei bar, nei negozi, negli studi professionali, nei laboratori informatici, ecc., in vere e proprie attività lavorative a tempo pieno, in sostituzione di altro personale che è stato trasferito ad altre mansioni, se non addirittura espulso dal mondo del lavoro.

Gli stagisti francesi rifiutano il destino di “lavoratori senza diritti”, neppure quello del rimborso delle spese sostenute per raggiungere il luogo di impiego, ricevendo in cambio dell’opera prestata solo il “licenziamento” in tronco al compimento del primo anno di attività che è il termine massimo consentito, dopo di che c’è l’obbligo di lasciare spazio ad un nuovo aspirante, analogamente allettato dalla possibile sistemazione dopo il suo tirocinio formativo.

Hanno invece fatto fortuna i molti soggetti che in questi anni si sono dati da fare per organizzare masters di studio finalizzati alla migliore preparazione dei giovani aspiranti stagisti, ai quali hanno anche procurato le aziende ove svolgere la conseguente attività di formazione sul campo. Non solo le università, ma anche innumerevoli soggetti, privati e non, che in larga parte non hanno certo svolto la loro opera per puro spirito caritativo, ricavandone anzi un lucroso profitto. Così che la speculazione dei preparatori si è aggiunta a quella dei datori di lavoro senza scrupoli, a tutto danno delle centinaia di migliaia di giovani che credevano di aver imboccato la strada giusta per arrivare ad un impiego certo e duraturo.

Soltanto gli stage promossi dalle università, secondo un'indagine della Conferenza dei rettori che ha coinvolto 40 atenei, sono stati 52.800 nello scorso anno accademico, per un totale di 30.400 imprese coinvolte. E gli stagisti-dottori sono solo una minoranza sul totale dei tirocinanti. Secondo il rapporto Excelsior-Unioncamere, un'impresa su dieci in Italia ha ospitato stagisti nel 2004. Molto forte la presenza nella grande impresa (quasi il 70 per cento di quelle con più di 500 addetti ne ha utilizzati) e nei servizi: in particolare nel credito e nella sanità, negli alberghi e nell'istruzione privata.

Tra gli utilizzatori di stage ci sono lo stesso Stato e gli enti pubblici, ma è pressoché impossibile tenere il conto di questo immenso lavorio, perché la loro estrema frammentazione rende impossibile arrivare al numero certo degli stage che vengono ogni anno organizzati in Italia. Questo perché, dopo averne battezzato la nascita, mamma-Stato, che avrebbe come minimo dovuto avvertire il dovere di seguirne le sorti, per impedire la degenerazione che pure era facilmente prevedibile, ha lasciato campo libero ai profittatori di ogni risma. La riprova di ciò ce la fornice l'Inail, dove pure tutti gli stagisti vanno iscritti per l'assicurazione: neppure questo istituto sa dirci quanti sono, giacché all'atto dell'iscrizione non vengono minimamente distinti da un lavoratore a tempo indeterminato o da una colf.

Che cosa succede dopo lo stage ce lo dice la Bocconi, almeno per quelli di sua competenza, grazie a un'indagine Eurisko dei circa 3 mila stage post-laurea attivati da questa prestigiosa università, soltanto uno su due è sboccato in un rapporto di lavoro. Anche in questo caso per la maggior parte si è trattato comunque di contratti di collaborazione o a termine e prevalentemente nel settore della finanza e del mercato. Percentuali che sono comunque da privilegiati, riguardando la fascia altissima delle decine di migliaia di stage che ogni anno si promuovono nella sola Lombardia.

Poco lontano, troviamo numeri ufficiali assai meno confortanti. Sono quelli dell'Agenzia del lavoro del Piemonte: in questo caso su 7.985 tirocini conclusi nel 2004, hanno trovato lavoro in circa 700: l'8,7 per cento del totale, per la gran parte con contratti atipici o a tempo determinato, e solo nel 2,27 per cento con contratti a tempo indeterminato.

Nel programma di governo dell’Unione figura l’impegno per la lotta alla precarietà del lavoro e certamente questa azione di giustizia dovrà iniziare anche in Umbria, dove sollecitiamo comunque un’indagine attenta e rigorosa in merito, con il riportare la legalità in un settore che ne ha estrema necessità.

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