SCONFIGGERE IL NANISMO IMPRENDITORIALE IN ITALIA ED IN UMBRIA
SCONFIGGERE IL NANISMO IMPRENDITORIALE IN ITALIA ED IN UMBRIA: NE GUADAGNERANNO LOCCUPAZIONE E LE CONDIZIONI DI VITA DEI LAVORATORI
Le piccole imprese italiane che riescono ad essere attive sui mercati internazionali realizzano performance economiche assai superiori alle altre. Il dato ci è stato fornito dallIstat nel suo recentissimo rapporto sulle dimensioni delle nostre aziende, secondo il quale in particolare quelle che occupano da 1 a 9 addetti si segnalano per una produttività del lavoro mediamente di 35 mila euro pro-capite, contro gli appena 23,3 mila delle loro concorrenti.
Il fatto è, però, che si tratta di una ridottissima minoranza di piccole strutture altamente specializzate che operano in campi molto dinamici riuscendo ad assorbire i maggiori costi che si legano sistematicamente con le esportazioni. Per la massa restante, che si avvicina a rappresentare il 95% del totale delle aziende italiane, è buio pesto, nel senso che i mercati internazionali li ignorano completamente, non potendo quindi cogliere le grandi opportunità che questi offrono.
A rimetterci è il Sistema Italia nel suo complesso, come attesta la perdita inarrestabile di quote di mercato subita dal nostro Paese negli ultimi anni.
Questa difficoltà si spiega con il fatto che in genere le piccole imprese italiane non ce la fanno, a causa proprio della loro ridottissima dimensione, a competere sul piano della qualità dellofferta: non potendo investire a sufficienza nelle ricerca, scarseggiano conseguentemente in fatto di innovazione della produzione. Un limite che le ha indotte a fondare la loro competitività sul basso costo della manodopera e sul prolungamento dellorario di lavoro, non riuscendo così a ripetere il miracolo economico degli anni sessanta, trattandosi di una strategia che ha fatto il suo tempo e che non può essere vincente contro i Paesi emergenti che di manodopera a basso costo e di orario di lavoro prolungato fino allo sfinimento ne possono mettere in campo a iosa.
Si deve essenzialmente a ciò il fatto che, quelle che un tempo solevamo definire, con una punta di enfasi la spina dorsale del sistema produttivo italiano, si siano trasformate nel tempo in un fattore di estrema debolezza, per i ridotti apporti occupazionali che sono in grado di garantirci: pur rappresentando quasi il 95% delle aziende italiane questo settore occupa oggi solo il 47% degli addetti totali, realizza un ancor più modesto 27,7% dei dipendenti ed appena il 31,6% del fatturato nazionale complessivo.
Di contro, in Italia la grandi aziende sono divenute merce rarissima, per cui, se è pur vero che anche negli altri Paesi sviluppati la struttura produttiva assume una forma piramidale alla cui base si collocano, naturalmente più larga, le piccole imprese, è anche vero che in essi tale forma geometrica appare estremamente regolare, grazie al suo graduale restringimento verso il vertice. Al contrario che da noi, visto che la piramide del sistema produttivo italiano assume una forma fortemente irregolare: parte da una base estremamente larga che si restringe verso lalto con vistosi salti di dimensione.
LIstat ci dice al riguardo che i 4,2 milioni circa di aziende italiane che sono attive nei settori dellindustria, del commercio e dei servizi di mercato contano mediamente 3,8 addetti ciascuna e di questa massa di aziende appena 3.199, corrispondenti a meno dello 0,08% del totale, contano più di 250 addetti. Allo stesso tempo questo ristretto novero di imprese occupa però il 27,7% dei lavoratori italiani e le stesse realizzano il 29,9% del valore aggiunto nazionale.
Questi dati, per concludere che per lItalia è vitale più che mai aiutare le sue imprese a crescere di dimensione, una necessità urgentissima anche per lUmbria, regione dove, stando ai dati contenuti in una ricerca della Camera di Commercio di Milano, il nanismo imprenditoriale è particolarmente diffuso, contando ben 77.531 piccole attività, quelle con meno di 10 addetti, sulle 82.103 complessive.
Questo non solo, perché, come abbiamo già visto, le aziende più grandi realizzano un maggior fatturato, un maggiore valore aggiunto ed una più larga occupazione, ma anche perché, come sempre lIstat sottolinea, i loro vantaggi i dimensionali non finiscono unicamente nelle tasche dei proprietari o degli azionisti, ma si riversano in parte anche sui lavoratori, sotto forma di retribuzioni più alte e di minori ore lavorate.
Tanto per capirci, i dipendenti delle piccolissime imprese percepiscono mediamente una retribuzione pro-capite annua di 14,9 mila euro per 1.682 ore lavorate, mentre quelli alle dipendenze di aziende con almeno 250 addetti, lavorano il 4,3% in meno e si ritrovano con una busta paga quasi doppia.

Posta un commento