QUALITA DELLOCCUPAZIONE E TAGLIO DEL CUNEO FISCALE: LUMBRIA PUO RESTARE PENALIZZATA NELLA RIPARTIZIONE DEI BENEFICI PER ECCESSO DI PRECARIATO
Sullincremento delloccupazione in Umbria si sono dette molte cose e molte altre sono state sottaciute.
E innegabile che, stando ai dati resi noti dallIstat, al termine del primo semestre di questanno il tasso di disoccupazione risulta essere sceso nella nostra regione dal 6,7% di un anno fa al 4,3% attuale, ma, come lo stesso istituto di statistica avverte, si tratta di un dato da prendere con le molle: intanto perché si considera occupato anche chi in effetti lavora solo per qualche ora al giorno, come pure chi rifiuta un lavoro fortemente sottodimensionato alla propria preparazione (potrebbe essere il caso di un giovane laureato che non accetta di fare il fattorino), o troppo lontano da casa.
In sostanza, questo dato si limita ad una semplice conta numerica, senza minimamente considerare la qualità del lavoro offerto, come neppure considera quanta parte della nuova occupazione sia rappresentata da manodopera immigrata (per la provincia di Perugia il Ministero del Lavoro prevede, ad esempio, un tasso del 26,4% sul totale a fine 2006, rispetto ad una media nazionale attorno al 15,2%) e qui, ancora una volta, con quale tipo di contratto questa sia stata assunta.
Anche se anchesso imperfetto da questo punto di vista, il dato da prendere in considerazione, più che quello della disoccupazione, dovrebbe essere comunque quello della quantità degli occupati sulla cosiddetta popolazione attiva, che per convenzione è quella compresa nella fascia detà 15-64 anni. Se facciamo ciò, allora appare chiaro, come per la verità anche altri prima di noi hanno rilevato, che la situazione umbra si presenta tuttaltro che rosea, collocandosi percentualmente al penultimo posto nellarea più avanzata del Paese, quella Centro-Nord, avendo solo il Lazio segnato una performance peggiore della nostra.
Questo per richiamare ad un più sano realismo quanti hanno salutato con una euforia un po troppo esagerata il dato Istat, tanto più se ad esso leghiamo altre considerazioni che destano una qualche preoccupazioni.
La principale è legata al taglio del cuneo fiscale al quale è impegnato lattuale governo e che andrà per una parte consistente a premiare le aziende virtuose, ovvero quelle che potranno dimostrare di aver assunto i loro dipendenti a tempo indeterminato.
Le ultime notizie in merito, sia pure non ancora ufficiali, parlano di un accordo raggiunto fra sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil) e Confindustria, in base al quale più di 5 dei 9 miliardi complessivi previsti per questa manovra andrebbero a queste imprese ed il rimanente finirebbe, invece, nelle buste paga dei lavoratori (20/30 euro a testa). Se riportiamo questa cifra alle vecchie lire si tratta allincirca di 10 mila miliardi in favore delle aziende, una pioggia di risorse, da utilizzare magari per sviluppare nuove tecnologie, che dovrebbe distribuirsi più o meno equamente su tutto il territorio nazionale.
Abbiamo usato il condizionale non a caso, avendo ben presente il giusto criterio delle aziende virtuose pocanzi richiamato, e questo per il fatto che (il dato li abbiamo stavolta ricavati dal rapporto Excelsior 2006 di Unioncamere e Ministero del Lavoro), ancora nella provincia di Perugia (ma la situazione regionale non dovrebbe discostarsi troppo) il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato rappresenta il 44,4% del totale, oltre tre punti in più della media nazionale che è del 41,1%. E trattandosi di una media, ciò vuol dire che la distanza che ci separa dalle realtà produttive più avanzate del Centro-Nord si fa assai più consistente.
Questo per sottolineare che in Umbria i rapporti di lavoro precari sono considerevolmente di più rispetto, ad esempio, alla Lombardia o al Piemonte, ma anche rispetto alle più vicine Toscana e Marche, e questa minore presenza di aziende in possesso dei requisiti necessari per concorrere alla ripartizione dei benefici del taglio del cuneo fiscale potrebbe penalizzarci non poco.
giovedì 21 settembre 2006
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