lunedì 4 settembre 2006

LA LEGGE BIAGI VA ABROGATA

LA SCONFITTA DEL PRECARIATO E’ POSSIBILE SE SI CANCELLA LA FLESSIBILITA’ A BASSO COSTO. LA LEGGE BIAGI VA ABROGATA

Perché si è abnormemente diffusa in Italia la pratica del lavoro precario è presto detto: la differenza di costo fra un lavoratore a tempo indeterminato ed uno a tempo determinato è enorme, come è enorme, quindi, il vantaggio che ne ricavano le imprese.


Da calcoli di provenienza del Ministero del Lavoro risulta, infatti, che per un dipendente subordinato al quale sia riconosciuta una retribuzione mensile di 1.000 euro, l’impresa che lo ha assunto deve sborsare complessivamente, nell’arco di un anno, 19.236 euro, aggiungendo agli oneri contributivi relativi alle 14 mensilità da contratto, la parte relativa agli oneri sociali (Inps, Inail, ecc, di 1.374 euro) e quella riguardante il trattamento di fine rapporto (69 euro ogni mese).

Lo stesso lavoratore, se parasubordinato, gli costerà invece appena 13.632 euro, perché gli saranno retribuite soltanto 12 mensilità ed anche perché non riceverà né gratifiche ne tredicesime, con un risparmio, perciò, di ben 5.604 euro ogni 12 mesi che, riportati alla vecchia moneta, fanno più o meno 11 milioni di lire. Se questa somma, poi, la moltiplichiamo per qualche decina, se non centinaia, di dipendenti, allora l’affare assume proporzioni gigantesche.
Va oltretutto considerato che il risparmio per l’azienda che ricorre alla pratica del precariato non finisce qui, perché un ulteriore cospicuo guadagno lo ricava anche in termini di tempo lavorato: al dipendente parasubordinato, infatti, non spettano né ferie retribuite (26 giorni all’anno), né permessi (7 giorni) e neppure il godimento delle cosiddette festività soppresse (4 giorni).

Calcolati anche questi 37 giorni di lavoro in più, alla fine si ha che il costo medio giornaliero effettivo del lavoratore in questione sarà di 43,70 euro, contro i 69.95 euro di un assunto a tempo indeterminato. Una differenza in meno di oltre il 37,5%.

Il fatto che vi siano in Italia così tanti precari a vita si spiega in questo modo e la soluzione del problema, come era stato giustamente indicato nel programma dell’Unione e più volte ribadita dallo stesso premier Prodi, va perseguita riducendo drasticamente questa scandalosa convenienza che si è enormemente dilatata dopo l’approvazione della cosiddetta “Legge Biagi” (che dovrà essere perciò urgentemente abrogata), anzi annullandola del tutto se non trasformandola addirittura in una “sconvenienza”, così che il datore di lavoro che intende ad assumere un precario sia spinto a farlo unicamente per riconosciute ragioni di opportunità aziendale, come ad esempio, il rimpiazzo per un breve periodo un altro dipendente temporaneamente non disponibile, o per far fronte a commesse non ripetibili, tali da rendere improduttive nuove assunzioni a tempo indeterminato delle quali non saprebbe che fare una volta venuta meno quella fase di straordinarietà.

In tutti gli altri casi non gli dovrebbe essere consentito di usufruire di lavoro flessibile a basso costo, tenendo per anni sulla corda, sottoposto al continuo ricatto del licenziamento in tronco, anche un solo dipendente sottoretribuito e senza diritti.

E’ possibile fare questo? Certo, se come ha anche di recente ribadito il ministro del lavoro, Damiano, le prestazioni di un dipendente parasubordinato costassero al datore di lavoro (anche pubblico, certamente) di più e non meno di quelle di una lavoratore subordinato, perché in tal caso verrebbe a mancargli la pura convenienza economica a ricorrervi.

Al momento le strade maggiormente percorribili per stabilizzare il lavoro ci sembrano due e vanno percorse entrambe a partire dalla prossima Finanziaria: la prima di queste passa per la elevazione delle contribuzioni previste per tutti i lavori flessibili, mettendo anche fine all’attuale regime di gestione separata Inps, per equipararla quanto meno a quella del lavoratore a tempo indeterminato (dall’attuale 10%, l’aliquota dovrebbe perciò salire al 32,7%), così che gli interessati ne possano trarre vantaggi anche dal punto di vista della tutela pensionistica; la seconda (al bastone segue, giustamente, la carota) attiene all’introduzione di un sistema di incentivazione fiscale (il cosiddetto cuneo fiscale) per premiare esclusivamente le aziende che favoriscono i contratti di lavoro a tempo indeterminato: un incentivo sotto forma di credito d’imposta, spendibile quindi come compensazione dei tributi dovuti allo Stato, che si ipotizza in 100 euro mensili a dipendente, con un ulteriore “premio” di 50 euro per chi assume personale con oltre 45 anni di età ed altri 300 euro se l’assunzione in questione viene fatta in territori svantaggiati.

Anche per questo aspetto, dunque, la prossima Finanziaria costituirà un severo banco di prova per misurare la serietà di un governo che è nato con l’intento di costruire un sistema sociale più equo di quello lasciatoci in eredità dal cavalier Berlusconi.

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