mercoledì 15 settembre 2010

Lettera a Guasticchi per onorare Treboniano Gallo, l’imperatore di Perugia

Al Signor Presidente


della Provincia di Perugia

Marco Vinicio Guasticchi



Egregio Signor Presidente,

Le è certamente noto che a Perugia, da una nobile famiglia di origine etrusca, nacque Caio Vibio Treboniano Gallo, che fu imperatore di Roma dal 251 al 253 d.C. Nel suo breve regno, caduto in uno dei periodi di più acuta crisi dell’impero, non riuscì a realizzare un significativo programma di governo, ma di certo ben difficilmente, nelle circostanze in cui egli si trovò ad operare, altri sarebbero stati in grado di farlo.



Per di più, sulla base di quanto la storia ci ha tramandato, Treboniano può senz’altro essere annoverato tra gli imperatori maggiormente colpiti dalla cattiva sorte, se non addirittura giudicato l’imperatore più sfortunato di tutti.



Ciò nonostante, Treboniano seppe distinguersi come valoroso comandante militare e come princeps capace di nobili gesti. Sono queste alcune delle parole che abbiamo recentemente indirizzato al Sindaco del Comune di Perugia, affinché una via o una piazza del Capoluogo venga intitolata a questo personaggio.



Oggi, ci rivolgiamo a Lei, in qualità di Presidente di un’Amministrazione che non è mai stata da meno di quella comunale nel custodire sia la cultura della nostra terra, che la memoria dei suoi figli migliori.



Animati da tale consapevolezza, siamo a chiederLe che anche la Provincia di Perugia adotti iniziative volte ad onorare l’unico imperatore che nella plurisecolare storia dell’impero romano ebbe i natali in Perugia stessa.

A sostegno della richiesta formulata, ci permettiamo di allegare una scheda sulla vita e sulle opere di Treboniano, redatta previa consultazione delle principali fonti storiche al riguardo.

Confidando nella sensibilità Sua, della Giunta e del Consiglio provinciale,

porgiamo i più distinti saluti.



i cittadini di Perugia

Stefano Vinti

Francesco T. De Carolis

Fabio Piergiovanni



CAIO VIBIO TREBONIANO GALLO

Imperatore romano dal 251 al 253 d. C.



Caio Vibio Treboniano Gallo nacque a Perugia, intorno al 206 d.C., da una nobile famiglia di origine etrusca e di rango senatoriale: i Vibii.

Fu console nel 245 e nel 250 venne nominato dall’imperatore Traiano Decio governatore delle province della Mesia Superiore e della Mesia Inferiore: un incarico di straordinaria importanza e responsabilità, in una regione di confine posta lungo il Danubio, sempre più luogo di tentativi di invasione da parte di popolazioni provenienti dalla sponda opposta del fiume, a minaccia formidabile non solo dell’integrità territoriale, ma della stessa sopravvivenza dell’impero, contemporaneamente impegnato a fronteggiare la minaccia altrettanto mortale costituita dalla costante pressione di genti ostili alla frontiera del Reno e a quella d’oriente.



Treboniano non tradì la fiducia riposta in lui dall’imperatore, ma si distinse opponendo con

le sue legioni una fiera resistenza ai Goti che nel medesimo anno 250, guidati dal re Cniva,

avevano oltrepassato la frontiera del Danubio in forze mai viste prima; in particolare, il

nuovo governatore riuscì a respingere eroicamente una delle due colonne in cui i Goti si

erano divisi dopo essere penetrati nel territorio imperiale, diretta verso la città di Novae

(l’attuale Svishtov in Bulgaria).



Difronte alle devastazioni operate dai Goti, l’imperatore Traiano Decio, sempre nel 250,

decise di intervenire personalmente con un proprio corpo di spedizione, allo scopo di

stroncare, con l’ausilio del contingente a disposizione di Treboniano, l’invasione.

Accadde, però, che dopo alterne vicende belliche, nel 251, Traiano Decio e le sue truppe

vennero astutamente attirati dal goto Cniva in una landa paludosa nei pressi di Abrittus

(l’attuale città bulgara di Razgrad); il combattimento che seguì si risolse per i Romani in

una catastrofe. Traiano Decio perse la vita assieme al figlio primogenito Erennio Etrusco,

che egli aveva associato al trono elevandolo al rango di Augusto, e gran parte dell’armata

imperiale venne massacrata.



Era la prima volta che un imperatore romano cadeva in battaglia contro un nemico straniero.

E lo sterminio di Abrittus sarebbe stato soltanto il prologo di una ben più ampia tragedia.

Treboniano non era presente sul campo della disfatta, ma si trovava dislocato con il suo

corpo di spedizione alla foce del Danubio, in esecuzione di un piano volto a sbarrare a

Cniva la strada verso nord; giunta notizia della morte di Traiano Decio, i soldati, presso i

quali già godeva di un grande favore per il valore dimostrato nell’opporsi ai Goti, lo

acclamarono imperatore.

Una modalità di ascesa al trono non nuova e che nei tempi successivi si sarebbe

inevitabilmente consolidata; infatti, l’idea “democratica” concepita due secoli e mezzo

prima, sia pure in senso oligarchico e plutocratico, da Ottaviano Augusto, secondo cui

l’esercito non era che uno degli elementi della società, al pari delle diverse forze politiche

ed economiche, che dovevano concorrere in collaborazione con il princeps al miglioramento

delle condizioni dell’impero, si era andata progressivamente dissolvendo. L’esigenza di

difendere i confini dalle crescenti minacce esterne, divenuta con il tempo di soverchiante

ossessività, aveva portato ad una esasperata militarizzazione dello Stato; in pratica tutte le

energie venivano ormai dedicate al sostentamento ed al potenziamento delle milizie, che

avevano così finito con l’assumere il ruolo di arbitro assoluto anche sul piano istituzionale.

Il primo atto compiuto da Treboniano in qualità di nuovo imperatore fu la stipulazione di un

trattato di pace con i Goti: un trattato che prevedeva condizioni ignominiose per Roma, ma

alle quali Treboniano, disponendo di forze assolutamente inadeguate dopo la strage di

Abrittus, fu costretto a sottostare per non essere a sua volta annientato e probabilmente per

salvare l’impero.



Con il trattato si stabilì, tra l’altro, nella speranza che i Goti si astenessero dall’entrare

nuovamente nei territori dell’impero, il versamento in loro favore di un oneroso tributo

annuo.

Per Roma un’altra terribile umiliazione dopo quella patita poco tempo prima in battaglia.

Treboniano fece quindi ritorno a Roma, anche in segno di rispetto verso il Senato, per

ottenerne la legittimazione – cosa che il Senato gli accordò – nella sua nuova posizione di

capo supremo dello Stato; a Roma riuscì anche ad ottenere che a Traiano Decio e al figlio di

questi Erennio Etrusco venissero tributati onori divini per decreto senatorio.

Alcuni sostennero in seguito che la sconfitta e la morte di Traiano Decio e di Erennio

Etrusco sarebbero state causate dal tradimento di Treboniano, che avrebbe cospirato con i

Goti o ritardato deliberatamente di intervenire in soccorso del suo imperatore. Tuttavia, a

quanto ci è dato di sapere, l’accusa risulta infondata.



Anzi, Treboniano, differenziandosi da molti imperatori del passato, ebbe un inusuale

rispetto per i membri superstiti della famiglia del suo predecessore, nei confronti dei quali

fu autore di due nobilissimi gesti, che rendono sicuramente poco probabile l’infamia

attribuitagli; Treboniano, infatti, al suo ritorno a Roma, ebbe cura di non intaccare le

prerogative della vedova di Traiano Decio, Erennia Etruscilla, mantenendola nel rango di

Augusta al quale era stata elevata dal defunto marito, senza conferire l’onore di tale rango

alla propria consorte, Afinia Gemina Bebiana; nello stesso tempo, Treboniano adottò,

associandolo al trono con il titolo di Augusto, il figlio secondogenito di Traiano Decio,

Ostiliano, riservando al proprio figlio naturale, Volusiano, il rango inferiore di Cesare e

Principe della Gioventù (Volusiano verrà nominato Augusto ed associato al trono dal padre

solo dopo la morte di Ostiliano, che avvenne di lì a poco a causa della peste).

All’arrivo di Treboniano, il morbo si era già diffuso nella Capitale; si trattava degli inizi di

un’epidemia che avrebbe imperversato per quasi quindici anni e provocato tra gli abitanti

dell’impero una quantità impressionante di decessi.

Ed anche in questa circostanza Treboniano si rese protagonista di un nobile gesto,

determinando che i funerali dei non abbienti avvenissero a spese dello Stato.

Ma la catena delle sciagure non era destinata a spezzarsi; le sciagure avrebbero

inesorabilmente caratterizzato l’intero breve regno di Treboniano.



Le minacce ai confini erano divenute più gravi che mai. Tra il 252 e il 253, i Persiani,

scatenando contro le province orientali un’offensiva che si sarebbe protratta per quasi dieci

anni, riuscirono ad impossessarsi dell’Armenia e della Siria. Nello stesso periodo, i Goti, in

violazione del trattato di pace stipulato nel 251, superarono nuovamente la frontiera del

Danubio, assieme ad orde di altri popoli, riuscendo addirittura a penetrare con un corpo di

spedizione nell’Asia Minore che venne messa a ferro e a fuoco fino ad Ephesus e Pessinus

(le odierne località turche di Efes e Ballihisar).

Treboniano non organizzò alcuna controffensiva all’invasione persiana ed al riguardo

apparirebbe strano che un soldato, che fino alla elevazione al trono imperiale aveva dato

prova di grande valore e perizia, si sia astenuto dall’intervenire per inerzia o per incapacità.

E’ di gran lunga più probabile che Treboniano giudicasse un’iniziativa del genere

un’impresa senza speranza con un esercito fortemente fiaccato dalla peste: non è difficile

immaginare la portata della destabilizzazione causata a tutti i livelli, in seno ad una società

non tecnologica, da un calo demografico quale quello che l’epidemia stava provocando.

Eppure, tra tanti disastri, Roma fu in grado, anche se per un momento, di risollevare la testa.

Nel 253, Marco Emilio Emiliano, che l’anno precedente era stato nominato da Treboniano

governatore della Mesia Inferiore, dopo aver promesso alle proprie truppe generose

ricompense se avessero ottenuto la vittoria, ripulì la provincia dai Goti che vi erano rimasti,

poi, attraversato il Danubio, si addentrò nel territorio nemico dove inflisse agli stessi Goti

una pesante sconfitta.



Ma proprio l’insperato successo risultò fatale a Treboniano.

L’avversa trama che da tempo la sorte stava ordendo contro di lui era arrivata al suo

epilogo.

Inorgoglite dalla vittoria giunta dopo tanti insuccessi e già indispettite dalla promessa a suo

tempo fatta ai Goti del pagamento di un tributo, le truppe danubiane acclamarono

imperatore Emiliano, il quale, senza premurarsi di intervenire anche in Tracia a

completamento dell’azione militare intrapresa, ordinò loro di mettersi subito in marcia verso

Roma.



Colto di sorpresa, Treboniano mandò a chiedere a Publio Licinio Valeriano, comandante

delle legioni dell’alto Reno, di intervenire in suo soccorso; quindi, raccolte le poche forze

delle quali poteva disporre, uscì dalla Capitale, assieme al figlio Volusiano, dirigendosi

verso nord presumibilmente allo scopo di ritardare il contatto con il sopraggiungente

usurpatore, in attesa di congiungersi a Valeriano.

Il generale del Reno, tuttavia, non ebbe la possibilità di arrivare in tempo e gli eventi

precipitarono: nei pressi di Interamna (l’attuale città di Terni), i soldati di Treboniano, dopo

essersi impegnati in uno scontro, consapevoli della disfatta che avrebbero inevitabilmente

subito dalle preponderanti forze guidate da Emiliano, passarono dalla sua parte, mettendo a

morte sia Treboniano, che Volusiano.

Si concludeva così la vita di un imperatore tragicamente sfortunato, chiamato ad un compito

ai limiti delle possibilità umane, senza che la sorte nulla volgesse in suo favore, disponendo,

invece, tutto contro di lui.



Due sono le testimonianze che a Perugia rimangono di Treboniano: si tratta di due

iscrizioni, entrambe recanti le parole COLONIA VIBIA, in memoria della concessione del

diritto di colonia (ius coloniae) fatta dall’imperatore alla sua città natale, e che ci ricordano

inoltre la sua famiglia, i Vibii, dalla quale egli derivò il nomen di Vibius.

Una è posta al di sopra del celeberrimo Arco Etrusco, che oggi si affaccia sulla piazza

Grimana, l’altra è incisa al di sopra dell’Arco di Porta Marzia, ugualmente di epoca etrusca,

incastonato dall’architetto Antonio da Sangallo il Giovane nel bastione di levante della

cinquecentesca Rocca Paolina per decorarne un ingresso sito lungo l’attuale via Marzia.

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