mercoledì 11 agosto 2010

Luciano Gallino: «Un danno per tutti se “Liberazione” chiude»

Intervista a Luciano Gallino, sociologo e scrittore

Luciano Gallino è uno degli intellettuali del dissenso, se possiamo definirlo così, più noto nel panorama culturale italiano e non solo. Nemico dell’attuale modello economico liberista, i suoi editoriali trovano spesso spazio, per fortuna, su un giornale ad ampia diffusione come Repubblica, come anche su altre testate di sinistra. Spesso è stato un nostro interlocutore su tanti temi di carattere sociale ed economico. Proprio per questa ragione lo abbiamo intervistato per sapere che cosa pensa di Liberazione e del suo futuro sempre più incerto che ci ha spinto in questi giorni ad avviare una campagna di solidarietà. «Se Liberazione dovesse scomparire si tratterebbe comunque di una perdita culturale e politica - dice il sociologo - perché viviamo in un’epoca in cui le voci critiche sono molto poche e incontrano grandi difficoltà. L’ipotesi che il loro numero diminuisca ulteriormente sarebbe un danno per tutti. Al termine “voci critiche” do un significato teorico, ovvero un’opposizione di idee e di argomenti fondata su ragionamenti robusti. Quella che è stata insomma la critica sociale per generazioni ora limitata o nell’angolo in gran parte del mondo. Poi si può essere d’accordo o meno con alcuni aspetti della critica ma il fatto importante è che esista una varietà di voci che sappiano affermare l’idea di critica nei confronti dei poteri dominanti e del capitalismo finanziario».

Una delle tante ragioni che ci ha portato a questa situazione di crisi riguarda anche la minaccia di un taglio drastico del finanziamento pubblico al variegato mondo dell’editoria. Molto spesso si è puntato l’indice da più parti contro questo aiuto a volte definito indiscriminato dello Stato ai quotidiani o periodici che dir si voglia. Che cosa ne pensa?
Vorrei sapere che cosa si intende per indiscriminato. Un finanziamento pubblico deve andare necessariamente a voci della cultura e a periodici che si esprimono diversamente. E tutte queste voci devono poter liberamente concorrere a questo finanziamento. Mentre è chiaro che vi sono delle forze che vorrebbero veder tacitato questo mondo. E questa forma di reazione, chiamiamola così perché di reazione si tratta, passa anche attraverso il finanziamento pubblico.

Voglio aggiungere che Rifondazione comunista, nella sua travagliata vicenda, è passata dall’avere la Presidenza della Camera e un ministro, e dunque una grande visibilità, ad un ridimensionamento che ha spinto i media ad oscurarci ulteriormente. Senza contare le nostre divisioni...
Certo c’è questo elemento, ma devo aggiungere anche che la “sinistra sinistra”, come la chiamano in Germania per indicare le forze antagoniste, “linke linke”, un suo posto, una sua collocazione la deve anche cercare. C’è stato un momento che questi partiti, appunto di sinistra, erano almeno quattro o cinque. Una sorta di autonemesi della sinistra politica che inevitabilmente si è riflettuta nei quotidiani e nell’informazione politica e partitica. Ma se quell’8-10% che può valere la “sinistra sinistra” in termini elettorali si frammenta come è avvenuto ahimè in pezzi del 2-3% l’uno o anche meno è evidente che c’è anche una responsabilità diretta che ha prodotto questo stato di cose. E diventa molto difficile continuare una critica sociale senza avere l’appoggio di una forza politica consistente e adeguata.

Vittorio Bonanni

da Liberazione 07/07/2010

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