L’attrice Valentina Carnelutti: «Liberazione? E' un bene primario. E per le cose necessarie si combatte»
Boris Sollazzo (da Liberazione del 7 agosto 2010)
Valentina Carnelutti è un'attrice di quelle che ti entrano dentro, anche se le dai una piccola parte. Ne La meglio gioventù quel viso intenso, il suo sorriso, uscivano anche se il cast era affollato e capace. Musa del cinema indipendente italiano- meravigliosa in Tu devi essere il lupo, intensa ne Le ombre rosse del "giovane" Citto Maselli- il coraggio che ha nel buttarsi in progetti difficili, lo ha anche e soprattutto fuori. Una donna dolce e forte che ci risponde dalla Calabria: è al Magna Grecia Film Festival, rassegna di opere prime. E interviene nel nostro dibattito con la sua solita passione.
Valentina, "Liberazione" potrebbe chiudere. Stampa, cinema e teatro sono sotto attacco?
Sì. Si fa tutti finta di niente ma ormai siamo in una dittatura vera e propria. Una dittatura mediatica, silenziosa e subdola, anche se mi prendono per pazza e scriteriata quando lo dico. Lo vedo parlando con mia nonna, che ne sente la sensazione fisica, e guardando le mie figlie: ho percorso con loro 20 anni di scuola e ho capito che già da lì si fa di tutto perchè non si formi una generazione pensante. Questo, come il precariato, toglie alle nuove generazioni la possibilità di capire cos'è meglio. La rivoluzione nasce dall'esigenza di qualcosa di bello, ma ora non riescono più a distinguerlo, volerlo, capirlo.
Un regime mediatico che annichilisce scientificamente la cultura
Una delle cose più agghiaccianti di questo regime è la televisione, tutto si risolve in problemi di comunicazione. Ci sono delle persone che possono cambiare le cose, penso a Nichi Vendola per esempio, ma a chi si rivolgono e con quali strumenti? E lo stesso vale per noi artisti, per giornali e giornalisti, per gli intellettuali, che siamo soprattutto tramite di idee: ci ritroviamo zittiti alla fonte, senza la possibilità di mostrar quello che dovremmo vedere. Prima, con un'offerta minore, era possibile, ora che c'è più scelta, di fatto è tutto appiattito. Ecco perché non possiamo limitarci a fare il nostro lavoro ma dobbiamo essere soggetto politico, vent'anni di compromessi ci hanno portato a questo punto. Il compromesso, purtroppo, provoca reazioni a catena, e vale per tutti, anche nelle scelte apparentemente minori. Vale per molti giornali che hanno smesso di fare il loro lavoro, per il cinema in cui si sono magari scelti gli attori sbagliati o cambiati i finali per convenienza. Ma questo non ci autorizza ad arrenderci.
In che senso? Come ci si può ribellare a questo (non) pensiero dominante?
Senza mai stancarci di dire quello che vogliamo, senza rassegnarci e impigrirci, anche se non ci danno i soldi. Partendo dall'educazione, non aspettiamo l'aiuto per fare le cose, non aspettiamoci quello che comunque non possiamo più avere. Troviamo la strada per raccontare quello che vogliamo, anche se ce la sbarrano, questo paese in momenti ancora più difficili ha saputo comunque dare voce a Elsa Morante e Cesare Pavese, ha visto nascere grandi case editrici. Il punto è che ora non vedo una fame profonda e onesta di esigenze comuni e generose, perché non pensiamo più alle necessità collettive reali e primarie, ma alla superficie. Ma sono le prime a cucire, riunire le persone. La cultura viene trattata come un lusso, ma è come il pane, il sole e l'acqua. E per qualcosa di necessario siamo disposti a tutto. Io avevo 17 anni e mezzo ed ero incinta, ma volevo fare la scuola di teatro. Per mantenermi e allo stesso tempo coltivare il mio sogno andai in una cooperativa a dividere le mele marce da quelle sane. Non sappiamo più cosa ci stiamo chiedendo, cosa stiamo desiderando. Se vogliamo fare un film, facciamolo. Se vuoi scrivere, scrivi. Troviamo il modo di farlo, anche contro tutto e tutti. Dobbiamo combattere l'egoismo diffuso.
Vale anche per "Liberazione"?
Certamente. Dobbiamo prendere Liberazione come uno dei germogli della cultura del nostro paese che vogliono sopprimere. Anche questo è democrazia: nell'antica Grecia la cultura era un diritto e un dovere, si volevano le persone al mercato la mattina, in tribunale il pomeriggio e a teatro la sera. Combattiamo per difendere Liberazione, è un bene primario, un giornale d'informazione non è una crema per il viso o un mascara. Chi scrive Liberazione, ma anche chi lo legge, chiunque lo trovi come me una voce di libertà la difenda. Perché conta il comportamento di ognuno di noi, la responsabilità, che prima di essere collettiva, è individuale. Ma facendo così, non cedendo al facile corteggiamento del mercato e non scendendo a compromessi, facendo quello che si deve e non quello che conviene, non faremo sì che chi segue la propria coscienza e il bene comune diventi un anello debole. E poi mi sono rotta di internet che mette tette e morti nella stessa schermata, è anche per questo che leggo un giornale!



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