venerdì 25 agosto 2006

NON PIU’ TAGLI, COMBATTERE L’EVASIONE FISCALE PER FRENARE IL CAROVITA E COMBATTERE IL PRECARIATO NEL SETTORE PUBBLICO

Il carovita continua a mordere in Umbria, con Perugia che, secondo anche le ultime statistiche dell’Istat, si conferma fra i capoluoghi di regione più cari d’Italia. A ciò si aggiungono previsioni non certo tranquillizzanti per il prossimo autunno, in specie per quanto riguarda le politiche tariffarie annunciate da molti Enti locali.

Certo, l’Umbria non fa eccezione, se è vero che, come ha rivelato la Cgia di Mestre, negli ultimi dieci anni i tributi locali sono cresciuti in Italia del 109%, una misura più che quadrupla rispetto alla crescita del Pil nazionale.

Tutto ciò dà pienamente ragione alla richiesta che Rifondazione Comunista rivolge da tempo alle istituzioni locali umbre, affinché impongano uno stop immediato ad una escalation che si riflette negativamente soprattutto sulle famiglie meno abbienti, oltre che sulle imprese, categorie entrambe già oberate dai costi sempre più elevati impostici dalla bollette energetica.

Affinché la ricetta da noi proposta possa determinare gli effetti desiderati è però essenziale comprendere le ragioni che hanno determinato le attuali storture, affinché non se ne determinino di nuove in futuro.

A tale riguardo non possiamo sottacere che i Comuni e le Province italiane hanno dovuto chiedere maggiori sacrifici a cittadini ed aziende per coprire gli enormi buchi che nei loro bilanci venivano determinati dai ripetuti tagli ai trasferimenti statali operati dal governo delle destre, nel tentativo dimostratosi vano (visto che in realtà è aumentato sino all’inverosimile) di ripianare il deficit dello Stato. Il fatto è che le risorse negate ai governi locali venivano poi allegramente sperperate a livello centrale, incoraggiando l’evasione fiscale e introducendo riforme a tutto vantaggio delle categorie sociali più abbienti.

Per Comuni e Province si trattava, invece, di garantire la sopravvivenza di servizi essenziali, la cui perdita avrebbe determinati ripercussioni ancora maggiori sulle fasce più deboli della nostra popolazione: pensiamo, ad esempio, agli anziani soli ai quali sarebbe stata ridotta l’assistenza domiciliare; alle famiglie con bambini piccoli che non avrebbero avuto garantito il posto negli asili nido o nelle scuole materne; ai malati alle prese con un sistema sanitario depotenziato e chiamati perciò a sostenere l’onere di gravosi ticket, e via di seguito.

Sono le stesse ragioni che hanno spinto molte istituzioni locali ad appaltare parte dei loro servizi a ditte esterne, sempre nell’intento di ridurne i costi, ma tutto ciò ci ha portato ad una situazione paradossale visto che nel settore pubblico, quello che nell’immaginario collettivo era da sempre identificato come il paradiso del posto fisso, si registrano ormai le percentuali più alte di precariato: il 10% rispetto all’8% del settore privato.

Il fatto è che, taglia e ritaglia, la coperta è diventata troppo corta per coprire anche le esigenze fondamentali e la strada per allungarla è una sola: aumentare le risorse a disposizione del settore pubblico. Questa volta, però, non imponendo ulteriori sacrifici a chi ha pagato fin troppo, bensì mettendo finalmente di fronte alle loro responsabilità quelli che non hanno mai pagato, o hanno pagato assai meno del dovuto.

Ancora una volta la strada giusta è dunque quella della lotta senza quartiere all’evasione fiscale che il governo Prodi pare intenzionato a percorrere fino in fondo.

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